Esistono alcune storie così radicate nella coscienza collettiva che praticamente tutti conoscono, anche senza averle toccate con mano. La maggior parte sono miti o favole che ormai usiamo persino come esempi nel nostro parlato di tutti i giorni, ed è innegabile come molti di noi siano stati esposti ad alcuni di questi racconti attraverso gli sgargianti cartoni animati della Disney.
Tra i classici in tecnicolor che hanno segnato gli anni cinquanta uno dei più famosi è sicuramente Alice nel Paese delle Meraviglie, tanto influente che, nonostante la perdita di soldi durante il lancio nelle sale, è solo grazie a lui se ormai il gatto del Cheshire viene ricordato semplicemente come Stregatto.

Ma se vi dicessimo che questo magico mondo sgargiante ha effettivamente davvero poco a che fare con gli scritti di Lewis Carroll?
Difficilmente viene accennato della metafora che rappresenta la caduta di Lucifero dal paradiso e il suo schianto sulla Terra, incarnato dal fragile uovo di Humpty Dumty, ma i denti a fisarmonica dello Stregatto fanno ancora ridere centinaia di bambini persino oggi.
Nel lontano meriggio dorato in cui vennero stilate due delle favole più influenti della storia, Alice nel Paese delle Meraviglie e Alice attraverso lo Specchio, questo ormai famosissimo scrittore Britannico diede vita ad un mondo in cui la logica semplicemente non ha spazio per esistere, e dove invece la brutalità è nascosta solo da un sottilissimo velo di meraviglia.

Ma perché questa prolissa introduzione ad un classico letterario in una rubrica in cui parliamo di videogame? Semplicemente perché un certo qualcuno riuscì ad incarnare lo spirito più macabro di queste storie in modo magistrale, dando comunque un contributo personale tanto valido da rendere i suoi videogame più che semplici adattamenti e, se avete letto il titolo, sapete bene a chi stiamo alludendo: parliamo di American McGee.
Chi è American McGee?
Se siete giocatori di vecchia data, avrete sicuramente messo mano ad uno dei suoi lavori in un modo o nell’altro, anche inconsapevolmente. Infatti, dopo un’infanzia travagliata di cui non parleremo su queste pagine digitali, incominciò la sua carriera ad Id Software come creatore autodidatta di alcune delle mappe più interessanti in: Doom, Doom 2, Quake, Quake 2, Hexen e persino Doom 64.
American McGee aveva dimostrato parecchie delle sue doti già in giovane età, tuttavia per divergenze creative dovette separarsi da Id e si spostò in EA per dare vita ad un suo progetto personale a cui stava lavorando da un po’.
Con il senno di poi e visti gli sviluppi, probabilmente la sua creatività avrebbe fatto parecchio comodo ad Id negli anni che seguirono, ma questo è un argomento per un altro sguardo al passato.

In ogni caso, il progetto a cui stava lavorando American McGee era ovviamente Alice, sviluppato assieme Rogue Entertainment con l’utilizzo dell’engine di Quake 3, proponendosi come un videogioco molto speciale fin dall’inizio.
Durante i primi anni 2000, gli action game più giocati erano ancora per lo più dei semplici “spara spara“, in cui si crivellavano alieni o demoni e li si facevano esplodere con gusto senza troppi pensieri per la testa. Si parla di un periodo precedente a titoli psicologici come Silent Hill 2, e il concetto di esplorare la mente dei propri personaggi era ancora del tutto nuovo.
Ma Alice si proponeva di fare proprio questo, concentrarsi sulla psiche dei personaggi e della protagonista con una minuzia tale da esplorare elegantemente sia i suoi traumi che la sua mente in un videogioco che manteneva la stessa azione frenetica di un Doom.
Un connubio interessante che sulla carta sembra quasi impossibile da realizzare, eppure eccoci qui vent’anni dopo a parlare di questa avventura con non poche difficoltà a dire il vero, perché ormai poter mettere le mani su American McGee’s Alice è una vera impresa.

Anche se capiamo che il sequel ha avuto un successo persino maggiore, la decisione di EA di rendere il primo capitolo della serie praticamente introvabile, se non in un bundle con Alice: Madness Returns (ormai vecchio di quasi dieci anni), ci lascia a dir poco perplessi.
Una favola per adulti
Questa triste storia inizia con la fuga disperata di Alice dalla propria casa in fiamme, mentre i suoi genitori bruciano all’interno. La bambina è riuscita a salvarsi solo perché la voce del Bianconiglio l’ha svegliata in tempo, ma questo incidente l’ha lasciata del tutto traumatizzata, depressa e colma di sensi di colpa per non aver salvato i suoi cari, portandola a venire internata in un manicomio vittoriano.
Qui la tengono pesantemente sedata con laudano e altri trattamenti non troppo piacevoli, diventando aggressiva nei confronti del prossimo e verso sé stessa anche a seguito di ben nove lunghissimi anni di mutismo selettivo.
È in questo momento che la voce del Bianconiglio viene a salvarla ancora una volta, richiamandola nel Paese delle Meraviglie per salvare il poco di sanità mentale che le resta.
La narrativa del titolo è davvero uno degli aspetti più particolari di questo videogame, dato che il Paese delle Meraviglie rispecchia appunto la mente di Alice, che in questo caso si rivela essere un completo casino.

I magici compagni a cui siamo stati abituati e gli spettacolari quanto iconici paesaggi sono stati trasformati in modo quasi irriconoscibile, e il sogno che rappresentava il Paese delle Meraviglie è ora diventato un vero e proprio incubo infestato da creature ostili.
Tematicamente, questa versione è effettivamente più in linea con gli scritti di Carroll, dove la maggior parte delle creature incontrate da Alice sono a dir poco grottesche e alcune persino assetate di sangue. Nel titolo di American McGee, il tutto viene tuttavia portato all’esasperazione in un connubio di viscere e sangue.
Insomma, la storia sembra davvero sopra le righe, eppure grazie al giusto mix di pathos e battute divertenti riesce a funzionare senza mai stuccare nonostante tutti i temi pesanti che vengono affrontati e, anzi, tutte le atrocità vissute dalla bambina e rispecchiate negli abitanti del Paese delle Meraviglie vengono trattate con parecchio tatto.
Si può facilmente immaginare quindi che molte delle persone che hanno avuto fragilità psichiche sono riuscite a rispecchiarsi nella lotta interna di questa protagonista, grazie ad un livello di scrittura e sotto-testi che difficilmente si possono riscontrare persino in un action persino dei giorni nostri.
Superare sé stessi
Non esageriamo quando affermiamo che Alice è una delle protagoniste migliori nella storia del media, e molti degli studi moderni dovrebbero davvero prendere spunto su come si scrive un personaggio femminile da lei.
Al contrario delle Mary Sue che ormai infestano parecchie delle storie che ci vengono propinate, quello che rende interessante questo personaggio è proprio il suo essere imperfetta e allo stesso tempo caparbia.

Alice è costretta ad affrontare dei veri e propri orrori durante la trama, con molti degli NPC positivi che incontriamo che le vengono letteralmente trucidati davanti. Eppure, nonostante le lacrime versate, la ragazza non si arrende. Trova invece la forza di affrontare i propri demoni interiori sia letteralmente che metaforicamente, diventando di volta in volta più sicura di sé e in alcuni casi anche più divertente.
Le sue risposte sarcastiche riescono sempre a far sorridere anche nei momenti più inquietanti, ed è proprio questa crescita personale e questa presa di consapevolezza che rendono la nostra Alice dai capelli neri un vero capolavoro narrativo.
In questo modo American McGee scrive una storia che riesce a dare spunti interessanti al giocatore, una trama puntata alla crescita personale e al superamento dei propri blocchi emotivi che risuona con una certa importanza e che è incarnata splendidamente in questa protagonista.
Affettare e sminuzzare
Quando pensiamo a videogiochi tratti da opere letterarie, è quasi istantaneo credere che si tratti di titoli principalmente narrativi come visual novel o avventure grafiche. Con American McGee’s Alice non è però questo il caso: il nome dello sviluppatore nel titolo è presente per un motivo, e questa mente creativa si è portata dietro tutta l’esperienza fatta nei suoi titoli action.
Il gioco è infatti principalmente uno shooter in terza persona con semplici puzzle ambientali e sezioni di platforming particolarmente ostiche, che anche in questo caso distaccano parecchio il titolo dagli altri giochi simili contemporanei.
Le armi presentate sono tutte dei giocattoli per bambini, che nelle mani di Alice si trasformano in brutali macchine da guerra, con il funzionamento di questo simpatico arsenale che si dimostra essere tra i più creativi del genere.
Alcuni degli esempi più interessanti sono i dadi che ci permettono di evocare dei demoni, sia ostili che amichevoli in modo del tutto casuale, e il classico Jack In the Box che in questo titolo funziona come una granata o un lanciafiamme.

A conti fatti, ogni singola arma a disposizione del giocatore ha qualcosa che la rende particolare: non sono semplici pistole con delle texture divertenti ma strumenti con meccaniche del tutto diverse tra loro, traducendosi però anche in una leggera difficoltà nel comprendere e usare questi magici strumenti di morte.
Ogni arma condivide la stessa barra delle munizioni e, nonostante il combattimento a tratti scomodo ma comunque fluido, il gioco riesce a rimanere bilanciato dato che ogni nemico ucciso lascerà a terra piccoli cristalli rossi, dandoci la possibilità di ripristinare parte delle munizioni e degli HP.
Anche le sezioni di platforming sono ben curate e. nonostante all’inizio risultino semplici, raggiungono un certo livello di sadismo verso le battute finali del gioco in cui un salto sbagliato può portare ad una morte improvvisa.
La curva della difficoltà però rimane ben calibrata, e ci prepara per bene alle sfide che ci aspettano senza risultare mai frustrante pur con qualche incertezza tecnica qui e lì.
Uno stile impareggiabile
Basta un rapido sguardo alle ambientazioni e ai personaggi per capire che l’art direction di American McGee’s Alice è semplicemente incredibile, con character design che riescono a trasmettere esattamente ciò che rappresentano e che risultano colorati quanto disgustosi.
Le ambientazioni sono curate in ogni minimo dettaglio e riescono a competere con e addirittura a superare, almeno a livello artistico, i grossi titoli rilasciati in quel periodo da Id o persino daValve.
Ogni scenario è letteralmente colmo di pura e semplice creatività, esattamente come ci si aspetterebbe dal Paese delle Meraviglie, e la contrapposizione di elementi fantastici di sfondo come libri animati con le macabre morti dei nostri avversari riesce a stupire ancora persino a distanza di anni.
Quando parliamo di morti macabre intendiamo animazioni davvero truculente, come venir tagliati a metà dalle nostre carte da gioco o starnutire tanto da farsi esplodere la testa, reso possibile grazie ad un uso impeccabile del Quake 3 Engine.

Nonostante le limitazioni del motore grafico scelto, i personaggi sono parecchio espressivi, complici anche i doppiatori che li incarnano perfettamente, e gli ambienti sono una gioia per gli occhi grazie agli elementi animati di sfondo.
Sono riusciti a rendere ogni momento del gioco unico, almeno dal punto di vista grafico, alternando una buona conoscenza tecnica degli strumenti in loro possesso con una chiara visione artistica alla base di ogni componente ambientale.
Ad accompagnare Alice in questo folle viaggio è poi presente una colonna sonora che trasuda personalità (come ogni altro componente del titolo), e che alterna melodie malinconiche a OST al cardiopalma che riescono a mandare nel panico esattamente come i migliori titoli horror.
Insomma, sia dal lato artistico che dal lato tecnico, American McGee’s Alice è una vera e propria perla, anche se non esente da piccoli difetti come l’incostanza con cui Alice decide di aggrapparsi alle sporgenze, rappresentando un vero esempio di come la passione per un progetto e una visione autoriale coesa riescano a prevalere su limitazioni di budget e tecnologia.
Considerazioni finali
Purtroppo, questa storia non ha un lieto fine.
Nonostante il discreto successo di questo meraviglioso titolo e del suo sequel su cui però abbiamo deciso di non soffermaci, American McGee’s Alice rischia effettivamente di venir gettato nel dimenticatoio per via di decisioni aziendali discutibili.

La qualità del gioco è indiscutibile e, in un periodo come il nostro in cui la produzione di videogiochi costa sempre di più e il fallimento delle aziende è costantemente dietro l’angolo, è affascinante vedere come un tempo persino EA fosse disposta a correre qualche rischio.
Le cose sono però inevitabilmente cambiate, e lo studio ha cancellato lo sviluppo del terzo titolo di questa interessante saga ormai già diversi anni fa.
Anche se la ferita brucia ancora, è ovvio che non rivedremo questo magico mondo tanto facilmente, ma speriamo almeno di avervi ricordato di un’opera che merita indubbiamente di rimanere nel cuore dei giocatori.
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