E’ il 2024 e non si accenna a vedere la fine di questa infinita epoca di reboot, si potrebbe pensare che i capoccia dell’intrattenimento hollywoodiano dovrebbero aver capito che il pubblico è stufo di rivedere i film più interessanti delle decadi 80′ e 90′, ma fatti peggio.
Ed è con questo mood di speranza ed ottimismo che un giorno abbiamo scoperto che era in cantiere la produzione di un remake del Duro del Road House, conosciuto da in Italia soprattutto per una gag ricorrente del buon Peter Griffin ma che è ancora un cult oltreoceano.
L’originale Road House non era certamente un film perfetto, ma piuttosto uno strano eppure interessante ibrido tra il film di botte ed il western moderno, con un’enorme interpretazione di Patrick Swayze, talmente riuscita che lo consacrò come attore a 360 gradi tra il pubblico americano appena due anni dopo l’enorme successo di Dirty Dancing.
Sfiduciati da tutta una serie di problemi di produzione (il film doveva essere prodotto addirittura nel lontano 2013 e doveva uscire anche nelle sale cinematografiche, oltre che su Amazon Prime Video) ci siamo approcciati a Road House 2024 convinti di star per visionare l’ennesima opera cinematografica scopiazzata male, uno di quei film talmente brutti che fanno il giro e diventano bellissimi nel loro essere meme, e invece non potevamo essere più nel torto.
Il regista Doug Liman (Mr. & Mrs. Smith, The Bourne Identity) fa davvero poco per risolvere i problemi della pellicola del 1989, riuscendo tuttavia a confezionare un film d’azione intelligente che non cade nell’errore di prendersi sul serio e che riprende lo spirito che ha fatto di Road House una piccola gemma.
L’ironia e le battute perfettamente a tempo con l’azione, le scene di lotta girate magistralmente ed il cast perfetto (e attenzione, usiamo il termine cast perfetto in un film con dentro Conor McGregor) conquisteranno ogni fan degli action.
INCIPIT NARRATIVO:
TI PIACE VINCERE FACILE?
Elwood Dalton (Jake Gyllenhaal) è un ex campione del mondo UFC caduto in disgrazia per aver pestato a morte il suo avversario in un title match, dopo la vittoria per K.O. e l’interruzione dell’arbitro.
Dopo l’evento, Elwood cerca di stare il più lontano possibile dalla violenza, ma allo stesso tempo non può guadagnarsi da vivere se non combattendo, Il fighter decide allora di elaborare una truffa approfittando del fatto che tutti gli altri lottatori sono troppo spaventati per competere con lui.
Il film si apre proprio con la messa in pratica della sua idea durante un torneo clandestino di bareknucle fighting in un’area industriale del Midwest americano: brutta, grigia e piena di tizi poco raccomandabili.
Qui il campioncino locale Carter (Post Malone), forte del suo fisico da sollevatore di lattine da 66cl, si prepara al settimo incontro della serata, convinto di stare per vincere senza problemi per la settima volta.
Ma lo sfidante sarà proprio l’ex campione del mondo, che farà scappare il tatuato avversario solamente togliendosi il felpone che copre sia il suo viso che il suo fisico marmoreo.
Una volta che Carter riconoscerà il suo avversario non basteranno gli insulti e i fischi del pubblico per convincerlo ad affrontare Dalton.
Capiamo così che il modus vivendi dell’ex lottatore professionista è proprio quello di presentarsi in eventi simili, intimorire i lottatori amatoriali del posto con la sua sola fama per prendersi il montepremi senza neanche muovere un dito.
Subito dopo l’incontro, Elwood viene approcciato da Frankie (Jessica Williams), un’imprenditrice che ha attraversato metà degli Stati Uniti per raggiungere Carter ed assumerlo come capo della sicurezza del suo locale in Florida, il Road House, che viene frequentato dalla tipica umanità della Florida e per di più viene devastato ogni notte da una gang di motociclisti.
Per convincere Dalton, che campa con pochi spiccioli e vive nella sua macchina, Frankie gli propone un compenso di 5000$ alla settimana; il fighter inizialmente rifiuterà per via del suo proposito anti-violenza, salvo ripensarci dopo un grave attacco di depressione che quasi gli costerà la vita.
We’re goin’ to the Road House, gonna have a good time.
Arrivati nella fittizia cittadina di Glass Keys il film cambia nettamente il mood.
La piccola comunità, sebbene economicamente in declino, è un luogo paradisiaco a ridosso di una bellissima spiaggia, con degli abitanti calorosi e simpatici con cui il buttafuori stringe immediatamente amicizia e dei colleghi che si prendono cura di lui.
Il Road House stesso poi, tolta l’aggressività stranamente alta dei nativi delle Florida Keys è davvero fantastico.
Un bellissimo locale, a metà strada tra un saloon e un bar per surfisti, con tanto di palchetto per concerti circondato da una rete di pollaio (avete presente il locale country di Blues Brothers ?) su cui si esibisce ogni sera un gruppo blues e soul diverso, citazione del primo Road House, che vedeva invece la presenza fissa della Jeff Healey Band.
Tutto sembra procedere per il meglio, persino il lavoro sembra facilissimo all’inizio, Elwood non ha quasi mai bisogno di intervenire con gli ubriaconi locali, visto che ci penserà Billy (Lukas Gage), cioè un pessimo barista che capisce, grazie alle lezioni di sensei Dalton, che la sua vera vocazione è prendere i rompiscatole per la collottola e sbatterli fuori a calci in nel sedere.
Addirittura la minaccia annunciata da Frankie, la temibile gang di motociclisti, si rivelerà molto meno pericolosa del previsto, risolvendosi con una valanga di schiaffoni educativi che provocherà nel pubblico italiano una certa sensazione di dejà vu su cui torneremo in un altro punto della nostra recensione.
I veri problemi inizieranno dopo che la gang farà rapporto a Ben Brandt (Billy Magnussen), rampollo della famiglia malavitosa locale.
Questa, controllando persino la polizia, è la causa di tutti i problemi di degrado della cittadina, sia a livello di criminalità che di impoverimento economico.
Il piano dei Brandt e vera e propria ossessione dell’arrogante Ben, è infatti quello di far abbassare il valore di tutti gli immobili sulla costa per comprare facilmente l’intera area del lungomare.
Dopo diversi tentativi di acquisizione della Road House, tutti mandati in fumo da Dalton, la famiglia sarà costretta a chiamare il suo asso nella manica, un sicario di nome Knox (Conor McGregor), una specie di incrocio fra una divinità caotica e un Terminator irlandese, nemesi e antitesi del pacato (almeno apparentemente) Elwood Dalton.
Riuscirà l’ex campione a salvare la cittadina dalle mire espansionistiche della mala?
UNA SCRITTURA ESSENZIALE, MA NON SEMPRE PERFETTA
Road House 2024, esattamente come il suo capostipite del 1989, non ha bisogno di una storia, di personaggi secondari o dei dialoghi particolarmente elaborati, dato che ruota intorno all’ interpretazione del protagonista principale.
Questo ha portato a dei personaggi secondari simpatici ma appena abbozzati, con una crescita psicologica praticamente assente, laddove alcuni di essi che dovrebbero ricoprire un ruolo ben più importante all’interno della storia, finiscono per diventare assolutamente accessori.
Questo avviene nel caso di Ellie (Daniela Melchior), che dovrebbe interpretare la fiamma indipendente ed emancipata del protagonista ma finisce per ricoprire solamente il ruolo della damigella da salvare.
Oltre a questo va tenuto in conto che ci sono dei momenti in cui la sospensione dell’incredulità va totalmente a farsi benedire (non ce ne vogliano i fan di Post Malone ma non è esattamente credibile che lui riesca a buttare giù sei pugili di fila), inoltre abbiamo notato dei buchi di trama abbastanza importanti.
Scopriremo pochissimo su cosa sia effettivamente successo durante il match per il titolo mondiale di cui abbiamo parlato all’inizio mentre tramite alcune battute dei personaggi secondari e dei cattivi verremo a sapere che il contendente era un caro amico di Dalton, e che la sua reazione alla fine del match è stata più o meno volontaria.
Al di là di questo non ci viene detto nulla su quello che dovrebbe essere un momento che plasma il carattere di Elwood, non conosciamo né le motivazioni dietro al suo gesto come non conosciamo nulla del morto, neppure il nome.
Questi difetti potrebbero sembrare enormi, ma in realtà ce ne accorgeremo appena, il film infatti ha un ritmo perfetto che vi terrà incollati allo schermo a prescindere da queste lacune.
Se Il Duro Della Road House aveva poi offerto un lato ”cartoonoso” e irrealistico squisitamente anni 80′, qui viene edulcorato, anche dal punto di vista dei contenuti controversi (niente tette e droga, ci spiace) e condito da battute e gag non esattamente sottili, ma comunque molto divertenti e dotate di un tempo comico perfetto.
L’umorismo è assolutamente ”ingenuo” (in senso positivo) e spensierato, Road House 2024 prende il lato western del suo predecessore e lo fa virare verso lo stile delle pellicole di Bud Spencer e Terence Hill.
Non a caso potreste prendere tranquillamente un buon 70% di quello che succede su schermo e rimetterlo in scena nella vostra mente con l’estetica e l’immaginario scenografico del duo di Trinità:
L’atmosfera da saloon con tanto di clienti che urlano ”Rissa!” e fanno effettivamente partire una mega scazzottata con sedie che volano, l’atteggiamento sornione di Elwood Dalton ed il suo essere talmente veloce e forte da doversi contenere quando prende a sberle i cattivi, l’odiosa famiglia Brandt ed i suoi scagnozzi nei vari ruoli parodistici, come il simpaticissimo e opportunista Sam.
Per quanto potrebbe sembrare anacronistico vedere delle gag e dei personaggi simili in un film hollywoodiano nel 2024, l’effetto è assolutamente fantastico, quasi una ventata d’aria fresca in un certo tipo di cinema che si prende davvero troppo sul serio.
Abbiamo gradito anche la naturalezza con cui il regista riesce a passare da momenti più scanzonati ad altri molto più seri ed action senza rendere Road House una sorta di collage mal assortito.
I PERSONAGGI PRINCIPALI:
Ar Cavaliere Nero….
Il personaggio di Dalton, anche se omonimo e caratterialmente simile al protagonista del Duro Della Road House, non è lo stesso personaggio interpretato da Swayze, così come la storia raccontata dai due film è diversa, i due personaggi sono di fatto l’unico trait d’union tra le due pellicole, se si escludono alcune piccole citazioni.
I due personaggi condividono delle caratteristiche e dei valori comuni:
sono entrambi eroi gentili ed educati, impegnati nell’evitare il più possibile la violenza e dotati di una forte mascolinità non tossica.
Inoltre, la loro filosofia è contraddistinta dal tormentone che li accomuna: “Nessuno vince in una rissa“.
Gyllenhaal sceglie però, a ragione, di non tentare di imitare Swayze (ancora oggi dotato di uno stile inarrivabile), arrivando così a dare una sua impronta al protagonista e non scadendo nel semplice scimmiottamento ma anzi dimostrando di possedere un suo carisma peculiare.
La figura di Dalton viene resa più realistica: il protagonista passa dall’essere un’improbabile laureando in filosofia appassionato di arti marziali, che sbarca il lunario sbattendo fuori la gente molesta da una bettola, ad un ex lottatore tormentato, che sceglie volontariamente una via più pacifica (e pigra) fino a quando i cattivi non calcheranno troppo la mano prendendosela con i suoi amici.
In quel preciso istante, Gyllenhaal passerà dall’interpretare un’indolente e simpatico menefreghista che cerca di fare meno male possibile ai suoi avversari anche se gli sparano addosso al recitare il ruolo di cowboy in una missione di vendetta: una spietata macchina assassina, fredda e calcolatrice, un cavaliere nero di Proiettiana memoria che ha liberato (con uno scopo) il demone interiore che lo aveva portato ad uccidere un amico e collega e che l’aveva trascinato in una spirale di degrado.
Questo cambiamento sottolinea l’incredibile lavoro che il protagonista ha svolto per il film, se già non fosse reso chiaro dal fisico da marzialista con cui si presenta alla telecamera.
Road House è una prova attoriale magistrale, con un Gyllenhal magnifico nel rendere al meglio entrambi i lati del carattere di Elwood Dalton e splendido dal punto di vista della prestazione atletica.
CONOR MCGREGOR starring…..CONOR MCGREGOR
Un’altra grande differenza tra il film originale e questo reboot sta nel fatto che nel primo Patrick Swayze reggeva sulle sue possenti spalle tutta la pellicola (con un piccolo aiuto del mai troppo celebrato Sam Elliott), mentre in Road House 2024 tutta la seconda parte del film funziona magnificamente grazie al morboso affiatamento tra Jake Gyllenhall ed il villain principale.
Anche se sulla carta non ci sembrava una buona idea lasciare un ruolo così importante ad un ex lottatore alla sua prima interpretazione nel mondo del cinema, e diciamolo senza tanti fronzoli, non ci sembrava una buona idea dare così tanto spazio a Conor McGregor, ci siamo assolutamente ricreduti.
La grande intuizione di Liman e degli sceneggiatori nel far interpretare all’ex campione del mondo la versione idealizzata di sé stesso . Knox è letteralmente McGregor che si guarda allo specchio, vedendosi ancora più grosso, cattivo, matto e tatuato, ed è evidente che è così che vuole essere.
Ogni scena in cui appare il sicario sembra davvero tratta direttamente da un gameplay di GTA V.
Knox si muove con la consueta camminata dondolante, marchio di fabbrica del lottatore irlandese durante gli ingressi sul ring per tutta la sua carriera in UFC.
Il killer porta una scia di caos e distruzione insensata ovunque passa, comportandosi come più gli aggrada, picchiando chi gli pare quando gli pare; essenzialmente il modus operandi per cui è noto Conor McGregor nella vita fuori dal ring.
Oltre alle (già) comprovate doti atletiche McGregor, riesce quindi a dimostrarsi un ottimo villain anni 90′: intenso, spaventoso e capace di lanciare one-liner eccezionali a raffica.
Tra il protagonista e il villain nasce poi un’intesa assolutamente eccezionale (ancor di più se si pensa che McGregor non è un’attore e Gyllenhaal non è un atleta) che trascina il film in un crescendo di botte da orbi magistralmente recitate e gag comiche mai scontate.
FOTOGRAFIA, COREOGRAFIE ED EFFETTI SPECIALI
Road House trasuda dalla voglia di Liman di girare delle grandissime scene d’azione, obbiettivo onestamente davvero raggiunto.
Non aspettatevi però delle scene di lotta alla Warrior, nonostante la presenza ingombrante in questo film delle MMA, tutte le coreografie infatti sono totalmente irrealistiche e molto più vicine a capisaldi del cinema d’azione orientale come Ong Bak e The Raid ma anche a capolavori del cinema occidentale come John Wick.
La tecnica utilizzata dal regista e dal coreografo Garrett Warren per mostrare su schermo delle mosse credibili e pulite consiste nel dividere il colpo in due parti: l’attore che attacca colpisce un oggetto morbido di colore verde, in modo da poter colpire a piena potenza e catturare l’effetto dell’impatto.
Le riprese di chi viene colpito, invece, vengono effettuate a parte, con l’ausilio di una mazza imbottita, sempre di colore verde, per avere l’effetto dell’impatto senza la potenza di una vera botta;
infine, grazie alla CGI, si uniscono le due riprese, dando l’illusione di un vero combattimento senza i pericoli che questo comporta.
I combattimenti con Knox sono però inframmezzati da delle riprese in prima persona (alla Hardcore! per intenderci) con la telecamera che balla in maniera esagerata, dando al tutto un aspetto davvero troppo confuso.
Un altro punto dolente del film è la CGI fintissima, specialmente per gli oggetti di scena distrutti nei feroci combattimenti tra i due arcinemici. Questo si nota anche nelle ”giunture” del montaggio di chi attacca e chi difende/viene colpito nelle varie scene di combattimento .
Tuttavia, il difetto più grande dell’intero Road House è rappresentato sicuramente dalla fotografia.
Le scene al buio sono veramente troppo scure, avrete infatti difficoltà a seguire l’azione in quei momenti, mentre durante tutto il resto del film vedrete o riprese della finta Glass Keys funestate da un aspetto quasi lattiginoso (colori e luci più adatti alla brughiera scozzese che a una soleggiata cittadina sul mare) o una color correction che dà un’aspetto veramente troppo neon e plasticoso al girato.
Ringraziamo Amazon per averci consentito di realizzare questa recensione.
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