Dopo sette anni, il regista di Kiss Kiss Bang Bang, Iron Man 3, The Nice Guys e l’ultimo The Predator, Shane Black, torna dietro la macchina da presa per un il suo nuovo action-thriller-comedy, Play Dirty. Il film, uscito il primo ottobre su Amazon Prime è diretto da Black e scritto a sei mani insieme ai collaboratori Anthony Bagarozzi e Charles Mondry e prodotto da Robert Downey Jr. e Susan Downey.
Black torna finalmente ad un action infuso della sua tipica comicità come il pubblico chiedeva a gran voce dopo l’uscita di The Nice Guys, il quale fu un flop commerciale dovuto anche all’avvento delle – allora – nuove piattaforme streaming in ascesa al momento dell’uscita in sala. “Se non puoi batterli, unisciti a loro”, così Shane Black deve aver ragionato firmando il contratto con Amazon.

Non è un caso che le pellicole che hanno avuto più successo tra il pubblico, diventati nel tempo cult, siano i due film di stampo thriller comedy, Black è definibile un maestro di questo tipo di genere. Il risultato peggiore per un suo lungometraggio – come potrebbe essere considerato Play Dirty – resta comunque un film godibile che intrattiene per le sue due ore di durata.
Play Dirty è un adattamento a grande schermo del personaggio di Parker, qui interpretato da Mark Wahlberg, un ladro particolarmente abile creato dalla mente dello scrittore Donald E. Westlake e apparso per la prima volta nel romanzo del 1962 “Il cacciatore” e, in seguito, in altri 23 titoli dello scrittore. Non è la prima volta che il personaggio di Parker viene trasposto sul grande schermo, lo abbiamo visto infatti in film come Parker, Payback, Point Blank e The Outfit, con Robert Duvall.

Trama
La trama di Play Dirty è piuttosto semplice, Parker è un ladro a cui capita l’occasione di partecipare ad un colpo all’apparenza impossibile ma che potrebbe cambiare la vita a lui e tutti i collaboratori per sempre. Fin qui può sembrare alquanto banale ma la sapiente scrittura di Shane Black e dei suoi collaboratori riesce a creare un intreccio complicato ma chiaro allo stesso tempo, che riesce ad intrattenere per tutta la durata della pellicola.
La storia inizia quando il personaggio di Parker viene tradito da Zen (Rosa Salazar), una collaboratrice che alla fine di un colpo riuscito tra mille peripezie, fa fuori tutta la banda cercando di uccidere lo stesso Parker. Sull’orlo della morte, Parker sopravvive grazie alle sue doti straordinarie e la rete di aiuti costruita negli anni, con il solo obbiettivo di trovare Zen e vendicarsi.

Riuscito a trovarla in poco tempo, il ladro spara senza mezzi termini all’uomo che è a colloquio con lei, facendo perdere le staffe alla donna: quello era il suo contatto per ottenere le informazioni necessarie a mettere a segno il colpo del secolo. Messa con le spalle al muro, Zen confessa a Parker la sua vera natura di rivoluzionaria e gli spiega che il colpo è pensato principalmente per attuare un colpo di stato nel suo paese.
Parker capisce subito che, nonostante le mire rivoluzionarie della donna, il colpo potrebbe essere una svolta nella sua carriera, in quanto si tratta di derubare il tesoro di uno stato intero. Decide così di seguirla e metterle a disposizione una squadra di cui può fidarsi, composta da personaggi eccentrici come Ed Mackey, interpretato da Keegan-Michael Key, e Grofield, interpretato da LaKeith Stanfield.
Un protagonista piatto
Con l’ingresso dei personaggi comprimari, tra cui è giusto menzionare anche Brenda Mackey, moglie di Ed interpretata da Claire Lovering, e De La Paz, interpretato da Alejandro Edda, si può ben notare il più grosso problema di Play Dirty: Mark Wahlberg.
L’attore protagonista non brilla mai, nè per carisma nè per simpatia, rendendo la sua una interpretazione piatta che non aggiunge niente al film.
Tutti i comprimari, tranne la co-protagonista Zen, riescono a far risaltare la loro performance infondendo forza al personaggio anche grazie alla scrittura. Peccato che Parker, che dovrebbe essere il protagonista indiscusso, non riesce mai a spiccare anche per colpa di scelte di scrittura a dir poco dubbie.

È difficile definire un villain principale in Play Dirty poichè i cambi di direzione dell’intreccio sono molteplici e altrettanti sono i nemici che Parker si deve trovare ad affrontare. Sicuramente il personaggio che più si avvicina alla controparte del protagonista, e quindi al villain principale, è Lozini, interpretato da Tony Shalhoub, l’uomo a capo della mafia – o almeno così pare – newyorkese, il quale purtroppo non va molto oltre lo stato di macchietta.
Non capiamo mai il vero fulcro tematico del personaggio di Parker, probabilmente inteso come una sorta di ladro gentiluomo.
La scena iniziale in cui torna sui suoi passi per lasciare una mazzetta di soldi alla donna a cui ha appena ucciso il marito farebbe presagire questo, ma viene poi preso in giro dai colleghi e la recitazione di Wahlberg non aiuta a capire se sia uno scherzo o un “tanto di cappello” tra ladri. Nonostante se la cavi bene nelle scene d’azione, il povero Wahlberg sembra sempre capitato lì per caso.
Un’altra pecca della pellicola, forse la più grande dopo la deludente prestazione del protagonista, è l’aspettativa creata da Prime: copertina e scelta del regista facevano pensare a un buddy movie tipico di Shane Black, ma così non è stato. Il personaggio di LaKeith Stanfield non solo appare dopo più di mezz’ora di film, ma è poco più di un comprimario; si nota un certo rapporto di confidenza con Parker, però non riesce mai a dare l’idea che siano effettivamente amici prima che colleghi.

Musica, regia e fotografia
Una delle note più positive di Play Dirty è sicuramente l’umorismo tipico di Black che permea tutta la pellicola, riportandoci nelle splendide atmosfere di Kiss Kiss Bang Bang (non è un caso che Robert Downey Jr. fosse la prima scelta per il ruolo di Parker, defilato a produttore esecutivo solo per altri impegni). Battute irriverenti, situazioni surreali e uccisioni senza fronzoli sono gli elementi che il regista utilizza sapientemente per spiazzare lo spettatore, legati da un montaggio che sa mantenere i tempi comici.
L’altra nota decisamente positiva è la colonna sonora del film, composta da uno degli autori della vecchia guardia di Hollywood, Alan Silvestri, compositore di Forrest Gump e Ritorno al Futuro tra gli altri. Il richiamo ai suoni tipici del noir riescono a dare alla pellicola una sensazione di leggiadìa che ci accompagna per tutto il tempo e di cui non vorremmo mai fare a meno.

La fotografia curata da Philippe Rousselot, già collaboratore di Black in The Nice Guys, sembra non riuscire mai nel proprio intento, dando l’impressione di essere disomogenea tra una scena e l’altra. Se le sequenze in interni sono illuminate con luci ben calibrate, quelle in esterni risultano piatte e alquanto banali. Com’è possibile che il risultato appaia al tempo stesso posticcio e incredibilmente costoso?
L’ultima menzione d’onore va fatta – nuovamente – al regista e alla coraggiosa scelta di chiudere il film con la scena finale dell’albergo. Oltre ad essere una sorpresa per lo spettatore, rende decisamente più profondo il personaggio di Parker che, fino a quel momento, sembrava piatto e banale, senza riuscire a salvarlo del tutto ma rendendolo un granello più tridimensionale.
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