Recensione HANEDA GIRL – Il regno digitale ha di nuovo bisogno di noi!

Parlando di titoli bidimensionali, abbiamo ormai perso il conto di quanti roguelike e metroidvania ci è capitato di parlare sulle pagine di STW, considerata l’esplosione di popolarità di questi due sottogeneri di gioco.
Talvolta, capita tuttavia di avere a che fare con delle semplici avventure fortemente basate sulla narrazione che, in termini di gameplay, propongono un semplice mix tra combattimenti e sequenze platform senza chissà quale profondità meccanica.

Questo è senza dubbio il caso di Narita Boy, titolo che, se dal punto di vista ludico fa il minimo indispensabile per accompagnare il giocatore fino alla fine, in termini prettamente narrativi ci ha invece rapito nel suo misterioso mondo digitale denso di filosofia ed esoterismo.
Ora, a distanza di anni, Studio Koba è tornato alla ribalta sviluppando e rilasciando un nuovo titolo ambientato in quello stesso universo, chiamato Haneda Girl: ebbene, siamo pronti per parlarvene nel dettaglio in questa nostra recensione.


TRAMA E NARRAZIONE

La protagonista è una bambina di nome Chichi Wakaba, grande appassionata di un videogioco da cabinato chiamato, per l’appunto, Haneda Girl.
Il suo innato talento l’ha portata a diventare talmente brava da convincere il suo sviluppatore, il professor Nakamura, a contattarla e a farle una proposta incredibile: farla entrare in quel mondo virtuale per proteggere l’Impero dei Dati dall’esercito degli Hackernauti, una fazione malvagia creata da un malware dormiente che si nasconde tra le profondità oscure del programma.

Così, tra un impegno quotidiano e l’altro (scuola, famiglia, amici), Chichi entrerà nel Regno Digitale e, con il supporto dall’esterno del professor Nakamura, si adopererà in una serie di missioni volte a sconfiggere il male. Il tutto verrà raccontato tramite i briefing delle varie missioni, che oltre definirne i vari dettagli,  fungono da dialoghi per lo sviluppo del loro rapporto “tra il dentro e il fuori”.

Qui sorge la prima sostanziale differenza con il capitolo precedente: seppur vi siano determinati spunti narrativi (e loristici) interessanti, si percepisce la volontà degli sviluppatori di direzionare il proprio focus sul gameplay piuttosto che sulla trama.
Infatti, se in Narita Boy era proprio la costruzione estetica ed atmosferica di quel mondo di gioco a prendere il volo, in Haneda Girl tutto ciò risulta molto più basilare, dalla tipologia di pixel art alla resa delle ambientazioni decisamente meno “artistoidi e solenni”.

Nonostante appartengano allo stesso universo, e di conseguenza ne riprenda alcuni elementi come il contesto narrativo ed alcuni spunti stilistici, va detto che nel caso di Haneda Girl viene a mancare quel coinvolgimento emotivo che rese speciale l’esperienza offerta da Narita Boy.
Ciò si traduce in una trama di fondo che non prova nemmeno a valorizzare l’incredibile lavoro tematico e di contestualizzazione svolto in precedenza, bensì si accontenta di ritagliargli giusto una piccola (e anche un po’ fine a sè stessa) collocazione narrativa in quel mondo di gioco.

Si tratta, a mio avviso, di una scelta creativa fortemente discutibile, specialmente considerando la scrittura dei dialoghi e una caratterizzazione dei personaggi decisamente azzeccata. La sensazione è quindi quella che Studio Koba abbia già deciso di puntare alla formula dello spin-off della saga dopo solo un primo capitolo.
In tal senso, avremmo di gran lunga preferito se si fosse dedicata ad un vero e proprio sequel o comunque ad un secondo titolo orientato nuovamente alla narrazione, che potesse ampliare ed approfondire ancor di più quel contesto, per poi magari impegnarsi solo successivamente in qualcosa di un po’ più laterale e differente.


GAMEPLAY E STRUTTURA DI GIOCO

Ma come detto in precedenza, se la trama è passata in secondo piano, è stato il gameplay in questo caso a porsi al centro delle attenzioni.
Infatti, Haneda Girl si pone come un hack’n slash bidimensionale che fa della precisione della rapidità delle azioni il suo cavallo di battaglia, proponendo nella sua sfilza di stage a difficoltà crescente un’interessante commistione tra combattimenti e fasi platform che si mischiano e si fondono fino a diventare quasi un tutt’uno.

Nei panni di Haneda, avremo a disposizione alcune mosse basilari come il salto, la schivata e l’attacco semplice, al quale si vanno poi ad aggiungerne altre ben più elaborate e dalle implicazioni specifiche come la possibilità di aderire alle pareti, l’invisibilità momentanea e un “dash potenziato” in grado di distruggere pareti speciali, torrette e nemici potenti.
In tutto ciò vige la regola del “one shot, one kill”, in quanto basterà una singola istanza di danno per portarvi al game over, che sia un proiettile nemico, l’esplosione di un barile o una trappola ambientale.

Con questi presupposti e per rendere meglio l’idea, definiremmo Haneda Girl come un curioso mix tra Katana Zero e Super Meat Boy.
L’altra grande peculiarità meccanica risiede in M.O.T.H.E.R., un vero e proprio mech da combattimento che Chichi potrà evocare in pressochè ogni situazione, e avrà una mobilità decisamente limitata ma sarà al contempo molto più resistente, permettendoci di utilizzare una mitragliatrice per neutralizzare dalla distanza i bersagli.

Inoltre, grazie alla sua pesantezza e al suo potere distruttivo, potremo “sfondare” alcuni muri e pavimenti per “irrompere” con aggressività nelle varie stanze.
Il nostro obiettivo sarà quello di capire come sfruttare nel migliore dei modi lo “switch del personaggio” (se così possiamo definirlo) in base all’occorrenza, comprendendone le potenzialità per superare agilmente anche le situazioni apparentemente più complicate.

In tal senso, l’opera non lascia tanto spazio all’improvvisazione: il gioco non andrà a richiedere chissà quale abilità puramente meccanica “in tempo reale”, ma al contrario ci toccherà in molte occasioni “studiare in anticipo” la sequenza di azioni da eseguire per poi farlo con sangue freddo, nella maniera più rapida e clinicamente precisa possibile.
Inoltre, troviamo un po’ un controsenso il fatto che voglia proporre un gameplay di precisione ma al contempo risultare caotico e spettacolare, con punteggi che appaiono a schermo in maniera invasiva, effetti particellari qua e là, tremolii e vibrazioni varie rendono l’azione inutilmente “sporca e poco comprensibile”.

Infatti, vi ritroverete svariate volte dinanzi alla schermata di game over senza che riusciate a capirne bene il perchè.
Capiterà, in un modo o nell’altro, di rimanere coinvolti in una qualche esplosione a catena, o cadere improvvisamente in una trappola senza averne compreso la dinamica anche quando vi sembrerà di aver fatto tutto perfetto, il che rende un po’ eccessivo e morboso il trial and error.

A parte questo, una volta presa la mano con i comandi e aver acquisito una certa confidenza con le potenzialità delle mosse, riuscirete ad eliminare le varie minacce schizzando con grazia e rapidità tra gli scenari e a completare gli stage in men che non si dica.
Quando ciò avviene, il gioco diventa improvvisamente iper soddisfacente e a suo modo divertente, merito di un sistema di controllo precisissimo e che fa della fluidità delle azioni un suo grande punto a favore.

Un altro importantissimo elemento di pregio sta nel modo in cui Studio Koba è riuscito a variegare l’esperienza a lungo termine.
Oltre ad una brillante costruzione strutturale dei livelli e al relativo posizionamento dei vari elementi dello scenario, verranno costantemente introdotti tutta una serie di nuovi spunti di pericolo all’interno degli scenari, che vi porteranno a dover applicare ogni volta un piccolo step strategico in più.

Nemici di diverso tipo, trappole ambientali di diversa natura o parti di mappa nel quale non potremo usare il mech sono solo alcuni esempi, ma vi assicuriamo che negli stage più avanzati ne troverete davvero di tutti i colori.
Se per i primi livelli vi sembrerà che ci sia poca libertà nel gameplay, più avanti vi verrà voglia di cambiare strategie e cercare nuovi “percorsi ottimali” per giungere alla fine: è proprio in casi come questi che il trial and error diventa, invece, stimolante e a suo modo parte integrante dell’esperienza.

In tutto ciò, come detto in precedenza, esiste un sistema di punteggi che in base alle vostre performance andrà a premiarvi con una medaglia, da quella di metallo all’oro.
Ottenendo quelle più avanzate, ma anche entrando in possesso di alcuni collezionabili sparsi nelle arene, potrete sbloccare l’accesso ad alcuni stage facoltativi.

Questi avranno, spesso e volentieri, delle regole tutte loro: alcuni saranno a tempo, in altri non potrete scendere dal mech, mentre altri ancora saranno delle sfide di platforming nudo e crudo, senza nemici o minacce particolari.
Anch’essi fanno il loro lavoro con una dignità moderata in quanto, seppur non propongano chissà quale spunto creativo assurdo, rappresentano in tutto e per tutto la miglior tipologia di “contenuto secondario” per un’opera come questa.

Chiudendo il discorso, si può dire che Studio Koba sia stato alquanto coraggioso a puntare così “presto” su un titolo fortemente basato sul gameplay e,nonostante alcune cose siano da rivedere, funziona e soddisfa in un modo tutto suo. Ma anche se non lo facesse, ammettiamo di aver apprezzato le intenzioni e i relativi sforzi creativi, sperando in un futuro miglioramento della formula.


COMPARTO GRAFICO E SONORO

Purtroppo, dal punto di vista visivo Haneda Girl rappresenta un netto passo indietro rispetto a Narita Boy: la pixel art risulta decisamente più piatta e meno ispirata, così come la resa delle ambientazioni e dei nemici che, per appartenere a quello stesso mondo, sanno di un generico alquanto anomalo.
Meglio invece la colonna sonora prodotta da Salvinksy, compositore originale del primo capitolo. Questa propone una serie di temi e motivetti dalle sonorità che arrivano direttamente dalla musica disco elettronica degli anni ‘80, destinate ad entrarvi in testa in men che non si dica.


Ringraziamo Keymailer per averci fornito una chiave del loro gioco per realizzare questa recensione.

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HANEDA GIRL (PC)
IN CONCLUSIONE
Haneda Girl rappresenta, per Studio Koba, un esperimento riuscito solo in parte: in questo caso, ha deciso di focalizzarsi sul gameplay lasciando in disparte la componente prettamente narrativa ed il contesto estetico e stilistico del primo capitolo. Al contempo, si tratta di una scelta audace, che offre un’esperienza rapida, spettacolare e a suo modo piacevolmente strategica e sfidante, ben più di quanto non si possa immaginare.
Pregi
Grande coraggio nel cambiare direzione ludica
Si evolve e si sviluppa alla grande, anche nei contenuti secondari
Gameplay appagante, preciso e curiosamente strategico..
Difetti
..nonostante l’azione sia un tantino pasticciata ed il trial and error punitivo
Visivamente non all’altezza
7.5
Voto