Recensione Ghost of Yotei – Vendetta e sangue sulla neve di Ezo

Dopo cinque anni di lunga attesa, il team americano di Sucker Punch torna a regalarci un’altra magistrale lezione di stile ambientata nel Giappone feudale. Ghost of Yotei non è un classico sequel, ma bensì una nuova avventura che eredita il DNA artistico del suo predecessore per trasportarci in un territorio familiare ma al contempo inesplorato ed affascinante. L’isola di Ezo, oggi conosciuta come Hokkaido, diventa quindi il palcoscenico di un’ennesima vendetta, dipingendo progressivamente un affresco narrativo che mescola tradizione e innovazione con risultati sorprendenti.


INCIPIT E NARRAZIONE

Il cuore pulsante di questa nuova esperienza risiede nella figura di Atsu, una abilissima mercenaria il cui destino viene forgiato dalla tragedia e dal lutto. Ambientato nel 1603, durante i primi anni dell’era Edo, il racconto ci trasporta tre secoli dopo gli eventi dell’isola di Tsushima per narrarci una storia totalmente indipendente.
La narrazione segue i canoni classici della storia di vendetta a cui Playstation Studios ci ha abituato, ma lo fa con una consapevolezza artistica che eleva il materiale oltre i semplici cliché del genere. Sedici anni dopo l’assassinio della sua famiglia per mano dei famigerati Sei di Yotei, Atsu ritorna come un fantasma assetato di sangue, guadagnandosi ben presto il soprannome di Onryō, il terribile spirito vendicatore che semina terrore e morte tra le terre settentrionali.

La struttura narrativa principale si rivela sempre solida e coinvolgente, beneficiando di una regia cinematografica che attinge a piene mani dal cinema di samurai per regalare momenti di puro spettacolo visivo. Tuttavia, dove la narrazione mostra qualche crepa è negli archi secondari, spesso caratterizzati da personaggi comprimari che risultano piuttosto bidimensionali e prevedibili.
La sensazione è che il gioco rallenti in maniera sempre più evidente nello spezzare l’esplorazione con un quantitativo inaspettatamente elevato di attività e missioni secondarie, un po’ a causa della ripetitività degli obiettivi e un po’ per i ritmi letargici dei dialoghi non saltabili.

Sia chiaro, parliamo di un difetto che il titolo porta con sé dal suo predecessore, in cui l’esplorazione libera del meraviglioso mondo di gioco si confermava il modo migliore di vivere l’esperienza anziché saltare da una parte all’altra in cerca di mansioni.
Arrivati al finale dopo oltre 30 ore di gioco, Ghost of Yotei ci ha lasciato un vuoto, un vuoto del tutto differente da quello che Jin Sakai ci aveva procurato con la sua (nostra) scelta dal sapore agrodolce. In questo senso, Sucker Punch ha deciso di toglierci la possibilità di scegliere a favore della costruzione psicologica di un personaggio forte, arrogante e pieno di turbe, ma destinato a ritrovare, infine, la tanto desiderata pace.


IL GAMEPLAY

Buona parte di ciò che separa questo capitolo dall’avventura di Jin Sakai si manifesta nel sistema di combattimento, che abbandona le stance fisse per abbracciare un approccio di gran lunga più versatile e dinamico. Infatti, Atsu non si limita al brandire la sua fedele katana, ma può padroneggiare un arsenale che spazia dall’ōdachi alle agili doppie lame, passando per lo yari dalla lunga portata e il kusarigama dalla gittata estesa.

La katana eccelle negli scontri individuali contro avversari armati di spada, mentre l’ōdachi si rivela devastante contro nemici corazzati. Lo yari permette di mantenere le distanze e interrompere gli attacchi nemici, mentre il kusarigama risulta ideale per gestire gruppi numerosi di avversari.

Questa varietà obbliga il giocatore a valutare costantemente la situazione, trasformando ogni scontro in un puzzle che richiede strategia oltre ai riflessi. Il tempismo rimane l’elemento chiave dell’esperienza, con schivate perfette e parate precise che aprono preziose finestre di vulnerabilità negli avversari più duri a morire.
Anche il sistema di sbilanciamento dei nemici è stato ridefinito per offrire maggiore chiarezza visiva, mentre l’introduzione di armi da lancio aggiunge un ulteriore strato di profondità tattica che ci salverà spesso e volentieri da una sconfitta assicurata. L’inserimento delle armi da fuoco, come il fucile tanegashima e la pistola tanzutsu, riflette il grande cambiamento tecnologico del periodo storico e introduce meccaniche di combattimento a distanza più affidabili.

Sfortunatamente però, il sistema è lontano dall’essere perfetto e ci sono ancora delle criticità che andrebbero smussate:
Il sistema di lock, pur accompagnandoci silenziosamente nel corso di tutta l’esperienza, non viene mai realmente introdotto o approfondito, risultando talvolta poco affidabile nelle situazioni più caotiche. A ciò si aggiunge una certa densità nei comandi, che nei momenti di maggiore concitazione può generare confusione, soprattutto per chi si avvicina al titolo senza grande dimestichezza. Yotei è infatti un titolo di gran lunga più difficile del suo precedente, con nemici aggressivi e (giustamente) davvero intenzionati a veder rotolare la nostra testa, costi quel che costi.

Squadra che vince non si cambia

Sul versante della progressione, Ghost of Yotei si dimostra fedele ad una filosofia essenzialista che rifiuta le derive più pesanti tipiche degli RPG moderni, puntando invece ad un sistema lineare che non tradisce mai le sue origini avventurose.
Come fondamenta, da un lato abbiamo gli alberi delle abilità consultabili presso gli evocativi altari della riflessione, luoghi contemplativi in cui potenziare movimento, furtività e l’intero arsenale di tecniche combattive a nostra disposizione; dall’altro l’acquisizione di equipaggiamento attraverso l’esplorazione attenta del territorio e il completamento di missioni speciali sparse per la mappa.

Si tratta di una scelta di design che incoraggia naturalmente il giocatore a perdere tempo fra le vallate e i villaggi della provincia, premiando chi decide di dedicarsi con devozione alle quest secondarie e ricompensandolo con strumenti progressivamente più efficaci. Le armature rappresentano l’unico elemento con un impatto statistico concreto e misurabile sulle nostre abilità, mentre copricapi, maschere e le numerose personalizzazioni estetiche vengono gradualmente sbloccate nel corso dell’avventura e possono essere equipaggiate in maniera modulare. Un approccio pulito, immediato e perfettamente leggibile che funziona egregiamente senza scadere in complicazioni superflue o sistemi ridondanti. Peccato soltanto per l’assenza di un sistema di transmog, che avrebbe di certo soddisfatto il nostro bisogno di coniugare la ricerca estetica alla funzionalità.

Esplorazione e contenuti

L’esplorazione si rifà al già consolidato modello dell’open world in cui ci lascia guidare dal vento, introducendo tuttavia alcune interessanti novità fra cui l’utilizzo del cannocchiale per individuare i punti d’interesse sparsi nella mappa.
Le attività secondarie sono piuttosto variegate, spaziando dalla pittura sumi-e ai rilassanti bagni termali, passando per la caccia ai criminali ricercati e l’ormai classico inseguimento delle volpi e dei lupi che ci guideranno verso nuovi equipment.

Pur mantenendo quel fascino unico che aveva caratterizzato il predecessore, alcune di queste attività rischiano di risultare eccessivamente ripetitive nel lungo periodo, mentre l’uso insistente del touchpad del DualSense per i minigiochi (qualcuno vuole che accenda un fuoco?) potrebbe stancare anche i giocatori più affezionati alla formula.
In termini di durata, Ghost of Yotei mantiene più o meno le proporzioni del predecessore, offrendo circa 25 ore di campagna principale che possono estendersi fino a 50-60 ore per i completisti. La scelta di mantenere una scala contenuta va controcorrente rispetto alla tendenza moderna degli open world, e in maniera più che giustificabile se consideriamo i ritmi già piuttosto lenti del titolo.


COMPARTO ARTISTICO E TECNICO

Dal punto di vista della costruzione del mondo, Ghost of Yotei raggiunge vette artistiche che sconfinano nel sublime, confermando ancora una volta la maestria assoluta del team di Sucker Punch. I paesaggi innevati delle montagne si alternano a foreste avvolte dalla nebbia e risaie che riflettono i colori del tramonto, componendo una tavolozza visiva che non possiamo fare a meno di definire poetica, esattamente come accadeva nel già straordinario Ghost of Tsushima.
Anche in questo caso, il team ha chiaramente beneficiato delle ricerche sul campo condotte nell’Hokkaido, dove sono stati registrati i suoni ambientali nel suggestivo Parco Nazionale di Shiretoko e dove si è collaborato con consulenti culturali per garantire il massimo rispetto e autenticità nella rappresentazione.

Questo approccio meticoloso si riflette inevitabilmente in ogni singolo dettaglio dell’ambientazione, dalle architetture fedeli al periodo storico fino agli elementi naturalistici che rendono il mondo incredibilmente vivo ed immersivo, catturando la piena attenzione del giocatore ad ogni occasione utile.

Dal punto di vista tecnico, Ghost of Yotei si presenta come un’esperienza complessivamente solida su entrambe le iterazioni di PlayStation 5. La console standard offre ben tre modalità grafiche fra cui scegliere: Qualità (2160p nativi a 30fps), Prestazioni (1080p-1440p upscalati a 60fps) e Ray-Tracing (1800p circa a 30fps con illuminazione sensibilmente migliorata).
PlayStation 5 Pro espande ulteriormente le opzioni con una quarta modalità esclusiva denominata Ray-Tracing Pro, che combina gli effetti di illuminazione all’avanguardia con i 60fps fluidi tanto agognati dai giocatori.

Le prestazioni si sono rivelate generalmente stabili nella versione PS5 base da noi testata, mantenendo un frame rate costante di 60FPS (in modalità performance) e registrando solo occasionali cali minori durante le sequenze più intense caratterizzate da esplosioni e numerosi effetti particellari a schermo. L’ottimizzazione è stata chiaramente una priorità assoluta per il team di Sucker Punch, e il risultato finale è un’esperienza tecnica che raramente delude le aspettative, e che speriamo possa venire un giorno trasportata intatta anche sulla piattaforma PC.

Come da aspettitive, il comparto audio rappresenta uno dei punti di forza più evidenti dell’intera produzione.
La colonna sonora attinge magistralmente alla tradizione musicale giapponese dell’epoca, con un uso sapiente dello shamisen che si integra perfettamente con le sequenze narrative che lo vedono protagonista. Il tema principale possiede quella grandiosità epica che ci si aspetta da una produzione di questo calibro, mentre i brani d’ambiente creano un’atmosfera immersiva che amplifica l’impatto emotivo delle situazioni. E se, come noi, coltivavate enormi aspettative verso i pochi ma significativi brani cantati, non resterete di certo delusi.

Il doppiaggio italiano si conferma di eccellente qualità, seguendo gli standard elevati stabiliti dalle produzioni Sony AAA. Per chi invece predilige l’immersione, la presenza della modalità Cinema Samurai con doppiaggio giapponese completo e sincronizzazione labiale offre un’alternativa eccellente.


Ringraziamo Sony Playstation per averci fornito una chiave del gioco per realizzare questa recensione.
Seguiteci sul nostro sito per altre recensioni e articoli in arrivo nei prossimi giorni.

Ghost of Yotei (PS5)
In conclusione...
Ghost of Yotei si conferma un'esperienza di altissimo livello che riesce a distinguersi nel panorama degli open world grazie a una direzione artistica sublime e un comparto tecnico consolidato. Sucker Punch dimostra ancora una volta la propria maestria nel ricreare atmosfere evocative e coinvolgenti, pur effettuando alcune scelte conservative che limitano parzialmente il potenziale narrativo e ludico dell'opera. Il risultato finale è un titolo che soddisferà certamente i fan del genere e del predecessore, pur senza rivoluzionare la formula preesistente.
Pregi
Trama ben scritta
Sistema di combattimento versatile e complesso
Progressione appagante e priva di fronzoli
Direzione artistica sublime
Ottimizzazione tecnica di livello
Difetti
Missioni secondarie ripetitive
Alcune imprecisioni di gameplay
Non piacerà ai detrattori di Ghost of Tsushima
9.5
Voto