Recensione Doom: The Dark Ages – Ultimatum all’inferno

Doom, nella sua storia ormai trentennale, è senza dubbio una delle saghe videoludiche che non dovrebbero avere bisogno di presentazioni, al punto che ciascun almanacco che citi questo medium facendosi forza di alcuni esempi storici dovrebbe quantomeno menzionarlo.
Non è un caso infatti che per molti giocatori, me compreso, Doom si rivelò essere quella prima escursione blasfema verso un gaming fatto di ultraviolenza e ambienti sorprendentemente tridimensionali.

Nel 2016, una id Software estremamente diversa da quella degli albori ma comunque fortemente radicata nelle tradizioni che la resero immune al passare degli anni riprese in mano l’eredità di questo franchise, che sembrava essersi concluso bruscamente con un coraggioso e divisivo terzo capitolo, presentando invece un reboot che aveva tanto di moderno quanto di meravigliosamente nostalgico. È grazie al successo straordinario di questo progetto che il franchise di Doom avrebbe visto la nascita di una nuova trilogia: iniziata fra le sabbie di Marte, per poi approdare su una Terra ormai distrutta, ed infine in un Medioevo viscerale e spietato.

Doom: The Dark Ages rappresenta, nell’ideale di id, la terza fase di questa nuova identità del franchise, il quale ha fatto tutto il possibile per trasformarsi radicalmente pur rimanendo ancorato a ciò che lo rende così riconoscibile e iconico, in un mercato in cui gli FPS singleplayer non dettano più la moda ormai da tempo.
È forse questo atteggiamento trasformativo ma cauto ad aver reso Doom Eternal un titolo apprezzato quanto divisivo, e lo stesso destino sembra attendere quest’ultima iterazione, più lenta e ragionata delle precedenti.


La narrativa

La narrazione non è mai il primo elemento a cui si pensa quando si parla di Doom, eppure da qualche anno a questa parte id ha tentato di mettere in piedi un sistema loristico che gettasse le basi per qualcosa di più interessante ed appassionante.
Doom: The Dark Ages si ambienta in un Medioevo fantastico in cui lo Slayer viene schierato a mo’ di arma di distruzione di massa dall’autorità ecclesiastica dei Maykr, una sorta di regno angelico dalle intenzioni certamente discutibili.
L’orda demoniaca, capitanata dal principe Azrak e dai suoi consiglieri, attacca senza sosta le rimanenze dell’umanità, che vengono difese strenuamente dalle Sentinelle e dal loro re Novik.

Per quanto sia di grandissimo aiuto, il personaggio dello Slayer viene visto con un certo timore da tutti gli schieramenti, compreso quello delle Sentinelle e dei Maykr, che lo costringono alla collaborazione tramite un particolare sigillo.
Sarà solo con il doppio gioco del vescovo angelico e l’inaspettato coinvolgimento del regno cosmico (Doom + Lovecraft è finalmente realtà) che il nostro eroe potrà permettersi di prendere finalmente le redini del suo destino.

Se questo incipit non è stato abbastanza diretto per darvi un’idea di quanto la trama di questo Doom sia completamente fuori di testa, sappiate soltanto che la quantità di “tamarrate” e novità inaspettate supera di gran lunga quelle dei primi due capitoli della trilogia reboot.
Lo si nota non solo per l’assurdità di alcune troupe narrative, ma anche per la presenza molto più marcata di cutscenes animate che lasciano intendere una voglia di prendere il tutto meno “alla leggera”. Sia chiaro, non siamo di fronte ad un nuovo capolavoro della narrativa dark-fantasy, ma si tratta pur sempre di una narrazione che esiste per fare l’occhiolino ai fan della serie e riesce a farlo spesso e volentieri attraverso micidiali e roboanti scariche di adrenalina.

Ciò che stupisce in particolare è la quantità di libertà che il titolo si prende nonostante la sua natura di prequel, tanto da rendere piuttosto importante il depotenziamento dello Slayer avvenuto con l’uscita del reboot del 2016. Fortunatamente però, raccogliere i codex sparsi in giro per le mappe può rivelarsi utile a mettere in ordine gli eventi e a mettere una pezza su eventuali buchi di trama.

In sostanza, la trama di The Dark Ages rappresenta il perfetto power-trip dark fantasy, e non c’è alcun dubbio che i fan più affiatati possano trovare nelle “antiche” avventure del nostro cacciatore di demoni preferito delle motivazioni inaspettate per cui essere eccitati.


Il gameplay

Cos’è Doom se non la forma più pura ed inalterata in cui uno sparatutto può presentarsi?
Questa è la regola generale che da sempre ci ha guidato nell’apprezzamento del franchise, ma di recente la cosa sembra essere cambiata, con tutti gli apprezzamenti e i dubbi del caso.
Questo The Dark Ages non è un ritorno alla semplicità di Doom 2016, né un proseguo della filosofia di gameplay espensionistica di Eternal, bensì qualcosa di totalmente separato ed in questo senso molto coraggioso.

Il Doom Slayer, non diversamente da quanto accaduto negli altri titoli, si presenta come una macchina da guerra spietata e priva di controllo; un vero e proprio carro armato su due gambe che si nutre dell’odio ribollente per i propri avversari demoniaci.
La prima vera anomalia si trova in un elemento imprescindibile dell’arsenale di questa ennesima reincarnazione: lo scudo-sega.
Questo equipaggiamento, per quanto tipicamente destinato ad un approccio difensivo, è in verità l’arma più dinamica e sfaccettata mai esistita nel contesto di Doom, potendo vantare di diverse modalità d’attacco, del parry e di tante, tantissime abilità.

Ciò che in particolare amplifica questa versatilità è la necessità di utilizzarlo sempre in coppia alle armi tradizionali, che a ben vedere di “tradizionale” hanno ben poco.

L’arsenale dello Slayer

L’equipaggiamento in The Dark Ages si divide in ben 13 armi ranged e 3 armi melee, ciascuna con una propria progressione/linea di potenziamento (dico linea perché è molto più basilare e molto meno libero di un tradizionale albero).
Le armi possono essere facilmente accoppiate in base alla loro natura, considerando che quasi ogni selezione avrà un’alternativa equivalente che potrà rivelarsi più o meno interessante a seconda delle vostre preferenze.
Ad esempio, il classico shotgun può essere alternato alla doppietta, mentre il polverizzatore può essere scambiato con il razziatore per ampliare o restringere il range dei nostri attacchi al sapore di ossa craniche.

Se è vero che le armi suonano all’apparenza tutte assolutamente devastanti, è indubbio che alcune siano più forti di altre, rendendone l’utilizzo preferibile e quasi scontato. Non guasterebbe in tal senso un lavoro di bilanciamento che le renda delle soluzioni altrettanto valide.
Del resto è proprio in questi aspetti che si ritrovano le prime conseguenze dei nuovi ritmi applicati a TDA, switchare da un’arma alla successiva è infatti meno rapido di quanto accadeva nei capitoli successivi, mettendo in pensione un approccio al gioco ancora funzionale ma purtroppo meno efficace.

Una bestia e le sue vittime

In realtà, a partire da questa differenza di ritmo, anche tutto il resto del gioco è stato rallentato. Chiariamoci, lo Slayer continua a muoversi di base con la velocità con cui si starebbe correndo in un FPS tradizionale, e l’attacco con lo scudo sostituisce con grande efficacia il dash per il raggiungimento di lunghissime distanze in una manciata di secondi; è la mancanza del doppio salto e della manovrabilità estrema di Eternal che rende l’esperienza molto più grounded. La potenza di fuoco assurda delle armi e la portata elevatissima delle abilità ci da la possibilità di asfaltare ondate su andate di demoni con una scioltezza davvero inedita, ma al contempo siamo portati a dover prestare più attenzione alle sfide che ci vengono poste dinnanzi, perché utilizzare tutto il nostro arsenale diventa assolutamente obbligatorio.

Principalmente noteremo che i nemici fanno spesso utilizzo di attacchi a distanza che sarà possibile parryare attraverso l’opportuna finestra, scatenando così l’abilità devastante dello scudo.
Allo stesso modo, vari avversari ci appariranno in armatura completa e per ucciderli dovremo prima surriscaldarla, poi colpirla con lo scudo-sega e solo dopo crivellarli di colpi.
Anche le glory kills tornano in chiave modificata, presentandosi come delle animazioni molto più corte e meno coreografiche che si integrano perfettamente con l’utilizzo delle armi melee e non spezzano i ritmi della partita.

A sostituire un sistema di progressione basato sulla raccolta di oggetti, incontreremo di tanto e tanto dei comandanti demoniaci, grossi demoni corazzati circondati da un’armata di seguaci che lo rendono temporaneamente invincibile. Una volta sbaragliata l’orda demoniaca e strappato il cuore da questi miniboss, potremo aumentare il livello di salute, armatura e munizioni di vario genere.
Segnaliamo anche la presenza di alcune nuove introduzioni e sostituzioni parziali nel bestiario demoniaco, che hanno in un certo senso aggiunto un po’ di pepe ad una sfida alla quale altrimenti saremmo stati costantemente pronti considerando i capitoli passati.

Insomma, quella di Doom The Dark Ages è una danza molto differente da quella di Eternal, in cui ci veniva richiesto di utilizzare la motosega con una certa costanza per trovare munizioni.
Ne consegue un ritmo completamente stravolto, che richiedere anche una maggiore consapevolezza di cosa si sta affrontando e delle risorse a nostra disposizione.

Esplorazione e mappe

Un ulteriore aspetto in cui Doom The Dark Ages osa differire dai suoi predecessori è la struttura di una parte delle 22 mappe che compongono l’interezza del gioco;
alcune di queste si estenderanno infatti ben oltre i limiti dei corridoi o delle arene dei predecessori, ricordando piuttosto delle grosse aree open map.
Dal nostro punto di vista, sebbene ci siano degli aspetti piacevoli nella loro integrazione da un punto di vista estetico e anche nella disposizione dei segreti e collezionabili, queste finiscono ben presto per risultare “fuori posto”.
In particolare tutte quelle fasi di totale sospensione del ritmo di gioco fra un combattimento campale e l’altro, magari proprio durante il backtracking, sono anomale per Doom e rischiano seriamente di annoiare il giocatore meno paziente.
Ancora peggio, tornare indietro nelle sezioni bloccate della mappa per recuperare i collezionabili sarà spesso impossibile, per l’assenza di un teletrasporto e perchè molte strade si bloccheranno alle nostre spalle.

Doom The Dark Ages in qualche modo rimuove il platform discutibile di Eternal e ne fa invece delle sequenze di “scampagnata” in lungo e in largo, a nostro avviso altrettanto discutibili.
Non aiuta nemmeno la mappa 3D, ancora non adatta a mostrare con chiarezza un level design che si sviluppa su diversi piani sovrapposti.
Un ulteriore incentivo al backtracking è dato dalle sfide, 3 per ogni missione e una speciale per ogni arma masterata, al termine delle quali riceveremo delle skin o delle valute per i power up.

Le sezioni “speciali “

Lo avrete quasi certamente visto nei trailer e nei vari materiali promozionali, Doom The Dark Ages si è proposto di metterci al comando di ben due “veicoli” dall’aspetto esplosivamente tamarro: un gigantesco mech ed un drago cyborg.

Andiamo con ordine, il mech viene utilizzato spesso e volentieri in delle missioni dedicate in cui combatteremo corpo a corpo e/o con dei fucili mastodontici contro dei titani.
Se all’apparenza può suonare incredibilmente epico… beh lo è, ma la verità è che le meccaniche di gameplay relative a queste sezioni sono molto piuttosto sottosviluppate ed in generale ripetitive. Fortunatamente queste non dureranno mai abbastanza per annoiarci, ma rimane un grosso peccato se pensiamo a cosa potevano essere se si fosse posta una maggiore attenzione.

Lo stesso discorso mantiene la sua validità anche per il drago, che invece viene utilizzato come pretesto per creare dei livelli molto, molto più estesi di quelli tradizionali. Il compito del drago sarà quindi quello di portarci da un punto di atterraggio al successivo, facendo fuori le torrette nemiche ed annientando qualche titano abbastanza sfortunato da trovarsi nel tragitto.
Anche in questo caso parliamo di una velocità di movimento davvero elevata, che si unisce all’integrazione del sistema di parry per creare degli inframmezzi tutto sommato apprezzabili.

Insomma, in entrambi i casi parliamo di quelle che potremmo definire delle piccole parentesi utili al titolo una parvenza ulteriore di varietà.

La difficolta’ e l’accessibilita’

Fra mille peripezie e dubbi morali su quanto sarebbe stato corretto fare una cosa del genere in sede di recensione, abbiamo voluto completare il titolo in difficoltà Incubo per mettere al vaglio le nostre abilità e il livello di difficoltà del gioco. Possiamo dirvi (con un non troppo velato orgoglio) che siamo riusciti a terminare il gioco in circa 15 ore morendo soltanto una quindicina di volte, contando anche le vita extra.

The Dark Ages non è un gioco facile, ma è un parcogiochi in cui scatenarsi è divertente e da i suoi frutti, specialmente se vi lasciate trascinare senza storie dalle nuove meccaniche.
Come abbiamo accennato, non lo si può approcciare con la tipica frenesia priva di ragionamento che si associa a Doom, e l’esagerata spavalderia potrebbe facilmente segnare un gameover nelle fasi più concitate.
Diversamente da quanto accaduto negli scorsi capitoli, id Software ha deciso di dedicare una particolare cura all’accessibilità a partire proprio dai livelli di difficoltà selezionabili, che qui diventano scalabili nel minimo dettaglio.
Volete un titolo ancora più punitivo e difficile? Lo volete più veloce? o magari volete dei nemici più passivi ed in numero minore? la sezione dedicata nelle impostazioni è uno strumento potente di personalizzazione dell’esperienza a 360 gradi.


Comparto tecnico

Da un punto di vista tecnico Doom è sempre stato uno fra i titoli più avanzati nell’industria, nel 1992 come oggi. L’ID Tech 8 di Doom The Dark Ages non fa assolutamente invidia a qualsiasi altro motore grafico non proprietario sia attualmente disponibile, e lo si apprezza soprattutto per il suo costante ammodernamento ed ottimizzazione in termini di performance.
Sfortunatamente (e fortunatamente), l’introduzione del raytracing come un elemento obbligatorio nelle pipeline di sviluppo tecnico hanno reso il biglietto di accesso molto più costoso di quanto non lo fosse in passato, ma sono passati 10 anni da quando le schede video hanno introdotto questa funzionalità e, quantomeno dal nostro punto di vista, un spinta di questo tipo è ormai del tutto giustificata, specialmente se consideriamo le capacità tecniche delle console introdotte nel 2020.

Ad ogni modo, la quantità di dettagli a schemo è strabiliante, così come le istanze di illuminazione e la presenza più che mai massiccia di nemici completamente smembrabili, arto dopo arto.
Fra le novità più evidenti di questa nuova iterazione, un completo overhaul del motore fisico che rende moltissimi elementi degli scenari completamente distruttibili e spargibili in giro per la mappa in maniera realistica.
Parlando invece di performance, su una RTX 4070 Super e un i7 di 14esima generazione il titolo si è mantenuto sui 100FPS fissi a dettagli massimi in 2k, con DLSS su qualità; un risultato di tutto rispetto se consideriamo che non abbiamo toccato neppure l’opzione del Frame Gen che avrebbe sicuramente alzato i numeri ben oltre questo tetto.

Vorremmo essere altrettanto positivi per quanto concerne la stabilità generale del gioco ma, seppur la nostra esperienza sia stata perlopiù priva di magagne, è impossibile ignorare la mole di giocatori che stanno avendo problematiche di natura tecnica. Anche noi, ad esempio, siamo stati costretti a riavviare il PC dopo ogni partita per non vederci gli FPS completamente e inspiegabilmente dimezzati nel caso volessimo riaprire il gioco.


Comparto artistico e sonoro

Come abbiamo anticipato, Doom ha una importantissima legacy da rispettare da un punto di vista soprattutto estetico, con il riutilizzo costante nel corso degli anni dei medesimi nemici demoniaci in chiave sempre diverse.
Se Doom Eternal aveva tentato di ricalcare l’estetica di DooM II: Hell on Earth con i suoi design cartoonosi, TDA si sbizzarrisce con una visione al limite fra il dark fantasy puro e il lovecraftiano:
i cacodemoni sono delle bestie tentacolari dalla forma cervellotica, gli imp ricordano tantissimo quelli di Doom 64 e i revenant sono la cosa più vicina che avremo mai videoludicamente parlando ai memes degli scheletri in motocicletta che vanno duro.
La stessa scelta si riscontra anche nelle ambientazioni, composte di un mix fra il medievo fantasy più classico, la tecnologia Argent dei vecchi capitoli e le vampate di un inferno fatto di carne e carcasse smaciullate.

Come non citare anche l’estetica rinnovata del DoomSlayer, con il suo mantello di pelle, la sua armatura spessissima e il viso inaspettatamente attraente; ci sono pochi dubbi sul fatto che questa è la nostra iterazione preferita in termini di design.
In sistesi, artisticamente Doom Eternal ci ha colpito davvero positivamente, dimostrando effettivamente quelle piene potenzialità che auspicavamo da un Doom ambientato nell’epoca oscura per antonomasia.

Ed infine non possiamo trattare anche un tasto dolente di ogni iterazione di questo franchise a partire dal rilascio di The Ancient Gods, la colonna sonora.
Mettendo da parte l’iconicissimo Argent Metal di Mick Gordon, crediamo sia proprio il caso di dirlo, Doom TDA ha una soundtrack di buonissimo livello.
Il lavoro del team di Finishing Move si riflette in una cattura essenziale di quello che è lo spirito di questo nuovo capitolo, con un metal più tradizionale ma non per questo meno potente ed adrenalinico da ascoltare durante l’azione.

Seppur l’album pecchi leggermente di riconoscibilità e varietà, era davvero difficile arrivare a sostituire o quantomeno eguagliare una leggenda della composizione videoludica come Mick, e non possiamo che apprezzare il tentativo riuscito.
Tracce come Unchained Predator, Unholy Siege e When the Shadows First Lenghtened sono nelle nostre playlist fin dal lancio e continuiamo ad ascoltarle giornalmente per affrontare le sfide quotidiane più intense, e voi potreste fare lo stesso da Spotify:


Doom: The Dark Ages è presente dal day one sul Game Pass, ed attualmente disponibile per: PCXbox Series S ed X e PS5, non è attualmente un gioco verificato per Steam Deck.
Ringraziamo Bethesda per averci fornito una chiave del gioco per realizzare questa recensione.

Seguiteci sul nostro sito per altre recensioni e articoli in arrivo nei prossimi giorni.

Doom: The Dark Ages (PC)
In conclusione...
Doom: The Dark Ages è, in definitiva, un capitolo che non ha paura di rimettere in discussione la propria eredità, pur rimanendo fedelmente ancorato a ciò che ha sempre reso il franchise riconoscibile. Il ritmo più lento, il nuovo sistema di combattimento e l’approccio narrativo più marcato segnano un netto distacco dai capitoli precedenti, con risultati complessivamente riusciti, anche se non privi di imperfezioni che non gli permettono di essere il più brillante della trilogia. Ad ogni modo, in un'industria che fatica a reinventarsi senza snaturarsi, Doom: The Dark Ages è un ruggito antico e moderno allo stesso tempo; un viaggio viscerale che lascia il segno, tra sangue, acciaio e resti demoniaci.
Pregi
Campagna ricca di situazioni fuori di testa
Gameplay trasformativo e coraggioso
Lo shooting è ancora fra i migliori dell'industria
Tante meccaniche e strumenti per divertirsi sul campo di battaglia
Graficamente estremamente solido e all'avanguardia
Comparto artistico e sonoro di altissimo livello
Difetti
Il nuovo impianto di gameplay potrebbe stuccare alcuni giocatori
Il ritmo degli scontri è spesso spezzato da sezioni esplorative "anomale"
Open map non sempre riuscito
Vari problemi tecnici
9
Voto