È il 2018 e dalle menti di Michael Choung, Nick Herman, Dennis Lenart e Pierre Shorette, veterani della defunta Telltale Games, nasce un nuovo studio, AdHoc, con cui puntano ad esplorare ancora più a fondo la frontiera tra videogioco e cinema interattivo. L’idea originaria era una serie live action comedy ambientata in un ufficio di supereroi, una sorta di The Office, con ritmo veloce e comicità surreale, unita agli spot di ThisIsSportsCenter, dove grandi atleti interagiscono con i giornalisti in ufficio.

Il progetto, che nel 2019 era appena entrato in produzione, subisce una brusca battuta d’arresto quando il mondo viene confinato in casa a causa della pandemia di COVID-19, costringendo AdHoc a fermare i lavori e a concentrarsi su altro. Tuttavia, tutto il lavoro fatto fino ad allora sulla serie non è stato gettato al vento: gli sviluppatori hanno ripreso in mano il progetto negli anni successivi, passando dal live-action al videogioco interattivo, tornando così alle loro competenze originarie.
Come ogni supereroe che si rispetti, Dispatch non è nato solo tra ostacoli e ripartenze, ma ha anche trovato un alleato destinato a segnare la sua storia. Durante la ricerca del cast vocale, infatti, alcuni membri di Critical Role vengono coinvolti per le audizioni: Travis Willingham, CEO di Critical Role, ricorda di aver percepito “qualcosa di speciale” nel lavoro di AdHoc fin dal primo sguardo ai materiali.

Così nasce una collaborazione che sembra predestinata, e Critical Role sale a bordo del progetto Dispatch e anche di Exandria, un videogioco ambientato nel mondo narrativo di CR. Coinvolti in primis come cast vocale, con i membri Laura Bailey (The Last of Us part III), Matthew Mercer (L’Attacco dei Giganti) e lo stesso Travis Willingham, il team è stato consultato anche in fase di sceneggiatura e assegnato a una serie di progetti collaterali legati a Dispatch, come giochi da tavolo, fumetti e altro.
In Dispatch vestiamo i panni di un ex supereroe costretto a reinventarsi come impiegato del Superhero Dispatch Network, centro quasi governativo che gestisce squadre di ex-villain e supereroi in missioni di pubblica utilità, prendendo decisioni morali e affrontando, tra ironia e disillusione, il peso di un passato ingombrante. Abbiamo provato in anteprima le prime due puntate del gioco e già da questo primo assaggio emerge chiaramente l’intento di AdHoc: costruire un’esperienza narrativa in cui scrittura, scelte e relazioni contano più dell’azione, riportando in vita lo spirito migliore dei classici Telltale.

Narrativa
Com’era prevedibile, la narrativa è tra le parti più curate del gioco: scrittura fresca, divertente ma mai superflua, e una messa in scena degna dei migliori prodotti audiovisivi animati degli ultimi anni. La novità più interessante di Dispatch rispetto ai predecessori della Telltale è il POV: non abbiamo più la classica prospettiva di un singolo personaggio, ma un POV ibrido, seguendo la storia in terza persona e intervenendo sia nelle scelte di dialogo che nella gestione degli eroi.
Dispatch si presenta come una vera e propria serie televisiva giocabile, pensata per funzionare come un episodio da guardare, con il giocatore chiamato ad agire principalmente nei momenti chiave, più per influenzare le relazioni che per svolgere azioni spettacolari. Questa scelta lo distingue dai classici Telltale, che, pur mantenendo una struttura episodica, puntavano sempre sul pieno controllo da parte del giocatore attraverso dialoghi, esplorazione e quick-time events.

Robert Robertson, MechaMan e la SDN
Nei primi due episodi conosciamo Robert Robertson (interpretato da Aaron Paul), ex supereroe noto come MechaMan, un uomo senza poteri che ha sempre creduto che l’eroismo dipenda dalla volontà di fare la cosa giusta, anche quando nessuno guarda. Dopo aver perso la sua tuta – un’eredità di famiglia – e con essa ogni certezza, accetta di lavorare per la Superhero Dispatch Network (SDN): un ufficio che coordina gli interventi dei supereroi, col sogno di poter riottenere ciò che ha perduto.
Avvicinato da Blonde Blazer, eroina uscita dalla Golden Age dei fumetti supereroistici, sarà lei a convincerlo a diventare dispatcher. Così Robert trova spazio per riscattarsi negli uffici SDN, popolate da ex-supereroi limitati ma ancora desiderosi di fare del bene, costretti dietro a schermi e incaricati di dirigere villain scapestrati come in un ambiguo call-center.

Nel secondo episodio, Robert inizia ad adattarsi alla routine da dispatcher e ai ritmi lenti dell’ufficio, dove la tensione morale dell’eroismo lascia il posto a una quotidianità fatta di turni, scadenze e missioni da coordinare. Il suo team di “villain” include Invisigal, Sonar e Prism – figure eccentriche e sorprendentemente umane, che il gioco tratteggia con ironia affettuosa, rendendole subito memorabili grazie all’importante lavoro di scrittura.
Anche muovendosi in un universo narrativo ormai saturo come quello dei supereroi, Dispatch riesce a distinguersi per una scrittura consapevole e fresca, pronta a giocare con gli stereotipi per ribaltarli con ironia e umanità. Ogni personaggio, anche il più marginale, è costruito con cura e spontaneità, dando vita a un racconto che non vive di colpi di scena, ma di dialoghi brillanti e piccoli momenti di verità, capaci di restituire autenticità a questo mondo iper-eroico.
Gameplay
Se Dispatch nel racconto si avvicina alla serialità televisiva, sul fronte del gameplay mette il giocatore al centro alternando, tra le scelte di dialogo, momenti interattivi classici a sessioni in cui Robert si siede alla scrivania, indossa le cuffie e diventa dispatcher: qui il giocatore ne assume il punto di vista e diretto controllo. È proprio in questi momenti che l’esperienza diventa videoludica, trasformando l’“eroismo da scrivania” in un gestionale in tempo reale dove bisogna coordinare i supereroi, prendendo decisioni e mantenendo un fragile equilibrio tra efficienza, etica e improvvisazione.

Al di fuori della scrivania, Dispatch recupera la formula più classica dei giochi narrativi interattivi, fatta di dialoghi ramificati, scelte morali e momenti d’azione scanditi da quick time event, sequenze in cui il giocatore deve reagire in tempo reale a ciò che accade sullo schermo, cliccando, trascinando o muovendo il cursore nella direzione giusta per determinare l’esito di uno scontro o la riuscita di un’azione. Nonostante la semplicità dei comandi, il ritmo serrato e la qualità della regia mantengono alta la tensione, restituendo quella sensazione cinematografica che AdHoc sembra inseguire fin dalle prime scene.
Il duro lavoro del dispatcher
Il cuore dell’esperienza di Dispatch è però il lavoro da dispatcher, l’unico momento in cui il giocatore diventa davvero Robert Robertson e siede davanti al computer della Superhero Dispatch Network, cuffie in testa e sguardo fisso sulla mappa della città. Il gioco abbandona la forma narrativa e si trasforma in una sfida gestionale, con una lista di eroi tra cui scegliere e una serie di eventi a tempo che appaiono sulla mappa, rappresentando crimini, incidenti o semplici richieste d’aiuto dei cittadini.

Ogni eroe ha un proprio pentagono di statistiche composto da carisma, dialogo, forza, velocità e difesa, e ogni evento cittadino è a sua volta caratterizzato da una serie di valori che ne determina la difficoltà e la tipologia. Quando il giocatore clicca su un evento, il gioco fornisce una breve descrizione della situazione e un obiettivo da raggiungere, e sta a lui decidere quale eroe inviare, cercando di far combaciare le caratteristiche dell’eroe con quelle del problema da risolvere per ottenere il miglior risultato possibile.
Se il pentagono dell’eroe riesce a coprire in misura sufficiente quello dell’evento, la missione viene considerata un successo, in caso contrario è un fallimento che influisce sul punteggio finale del turno. Ogni chiamata ha inoltre un limite di tempo, e se il giocatore non riesce a inviare nessuno entro la scadenza, la missione è segnata come ignorata, elemento che spinge a prendere decisioni rapide ma ragionate, dosando istinto e strategia.

Al termine del turno, il gioco calcola le chiamate risolte, fallite e ignorate, assegnando un punteggio complessivo che influisce sulle ricompense. Gli eroi guadagnano punti esperienza per ogni missione portata a termine e, una volta saliti di livello, il giocatore può aumentare di un punto un attributo a scelta, costruendo progressivamente un team sempre più bilanciato e personalizzato.
Addestramento e Hacking
Durante le sessioni di lavoro possono apparire anche eventi di addestramento, segnalati da icone specifiche sulla mappa, che permettono agli eroi di acquisire nuove abilità speciali. Ogni missione completata richiede però tempo e riposo, e gli eroi inviati non possono essere riutilizzati fino al loro rientro, costringendo il giocatore a pianificare attentamente l’ordine e la tempistica delle missioni per non restare scoperto di fronte a un improvviso picco di emergenze.
A rendere il tutto più complesso intervengono gli eventi di hacking, frammenti della rete che si attivano in momenti precisi e costringono Robert a entrare direttamente nei sistemi informatici della città. In queste sequenze, il gioco cambia prospettiva e introduce un puzzle in tempo reale: un percorso da attraversare con un cubo luminoso che si muove all’interno di una griglia in cui, per sbloccare determinate vie, occorre inserire una combinazione di frecce nella sequenza corretta, e ogni errore rallenta il processo interrompendo la connessione.

Alla fine di ogni turno, le prestazioni del giocatore vengono premiate con bonus sotto forma di potenziamenti e oggetti utilizzabili che possono variare in base al tipo di prestazione di Robert. Si va dal cerotto, utile per curare le ferite e rimuovere penalità temporanee, alla tazza di caffè che riduce i tempi di recupero e consente di rimandare subito un eroe in missione, fino a un terzo oggetto ancora non sbloccato nei primi due episodi.
La vera efficacia del sistema risiede nella sua capacità di mantenere costantemente alta l’attenzione del giocatore, trasformando quella che potrebbe sembrare una routine da ufficio in un’esperienza dinamica, scandita da decisioni rapide e da un ritmo sorprendentemente coinvolgente. La semplicità delle meccaniche non si traduce mai in banalità, perché ogni turno restituisce la sensazione di essere al centro di una rete viva e pulsante, dove la pianificazione e il tempismo fanno la differenza tra un eroe celebrato e un disastro evitato per un soffio.

A rendere il tutto ancora più godibile contribuisce il cast di personaggi che affianca Robert, un gruppo di figure eccentriche, brillanti e spesso sopra le righe, che commentano le missioni in tempo reale, si punzecchiano a vicenda e trasformano anche i momenti di attesa in piccoli siparietti di comicità e umanità. È proprio questa coralità, questa costante comunicazione in cuffia tra l’eroe stanco e i suoi colleghi fuori di testa, a dare ritmo e calore al gioco, facendo dimenticare la distanza tra schermo e giocatore e restituendo, per qualche ora, la sensazione di far parte davvero della squadra.
Comparto tecnico artistico
Dispatch non punta certo a stupire con la potenza grafica, ma con una direzione artistica capace di dare coerenza e carattere a ogni elemento su schermo. Un titolo che non ha bisogno di effetti spettacolari per funzionare, perché la sua identità visiva serve la narrazione e non il contrario. Tutto, dal ritmo delle scene ai colori del menu della SDN, è pensato per costruire un mondo riconoscibile e al tempo stesso intimo, più vicino all’idea di serie animata che a quella di videogioco.
Dal punto di vista puramente tecnico, il gioco si mantiene su standard solidi ma misurati: nessun calo di frame, caricamenti rapidi e una gestione dei modelli essenziale ma curata, con il motore di gioco che supporta con efficacia il passaggio tra le sezioni narrative e i momenti interattivi. L’interfaccia della Superhero Dispatch Network è pulita e funzionale, con un design che privilegia la chiarezza alla complessità, rendendo l’esperienza accessibile senza sacrificare profondità o ritmo.

La direzione artistica di Dispatch brilla grazie a una palette di colori accesi e vibranti che, unita allo stile dei disegni, richiama immediatamente l’estetica di Invincible, con un tratto energico, saturo e in costante movimento, perfettamente coerente con il tono brillante del racconto.
L’ufficio della SDN, invece, porta ancora addosso le tracce del suo concept originale: avrebbe dovuto essere un luogo buio e claustrofobico, ma la successiva evoluzione lo ha reso più accogliente senza cancellarne del tutto l’anima da edificio governativo riciclato, con computer dal design anni Ottanta che stonano affascinantemente con la tecnologia del 2025.
Nel complesso, Dispatch riesce a fondere tecnica e stile in modo sorprendentemente armonioso, trasformando i suoi limiti produttivi in una precisa scelta estetica che valorizza la storia e i personaggi anziché oscurarli. È un gioco che preferisce l’eleganza dell’intenzione alla forza bruta della grafica, e che trova la sua unicità proprio in questo equilibrio tra semplicità visiva e complessità emotiva, confermando come, a volte, la coerenza valga più della spettacolarità.
Ringraziamo ICO Partners per averci per averci fornito una chiave del gioco per realizzare questa recensione.
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