Bentornati al Superhero Dispatch Network, dove ogni squillo interrompe la monotonia di un turno e trasforma la routine in tensione, riportandoci dentro quell’universo di voci e scelte che AdHoc Studio aveva già costruito nei primi due episodi. Questa volta il team torna con due nuovi capitoli che puntano a rafforzare la coerenza del racconto, affinando ritmo, dialoghi e una gestione della tensione sempre più precisa e consapevole.
Il risultato sono episodi che non cercano solo di stupire ma anche di consolidare, concentrandosi sulla maturità narrativa e su un equilibrio che comincia a farsi stabile. Dispatch si conferma così un progetto episodico atipico, capace di unire scrittura contenuta, direzione misurata e un’atmosfera già riconoscibile dai primi momenti.

Dopo i primi assestamenti narrativi, in cui il protagonista Robert Robertson — ex-supereroe costretto a reinventarsi dietro una scrivania — veniva tratteggiato tra nostalgia e pragmatismo, questi nuovi capitoli insistono sul suo processo di adattamento. Robert non è più solo un personaggio che rielabora la perdita di poteri, ma diventa una figura che impara a dare valore al proprio ruolo quotidiano, negoziando un’identità rifondata sulla responsabilità amministrativa e morale, e affrontando una routine che richiede sia decisioni pratiche sia ascolto empatico.
Con gli episodi tre e quattro, la prospettiva si amplia e il mondo di Dispatch inizia a rivelarsi in profondità: non solo nei luoghi e nelle logiche operative, ma anche nelle pieghe dei caratteri che popolano la SDN. Il peso delle nostre azioni si fa manifesto e le scelte del giocatore smettono di essere semplici tocchi cosmetici, diventando leve concrete della narrazione, fino a portarci a decisioni dal sapore definitivo.

Episodio 3 – Gli ultimi (non) saranno i primi
Il terzo episodio di Dispatch apre una nuova fase nel percorso di Robert Robertson, spostando l’attenzione dal semplice adattamento alla routine d’ufficio verso una riconciliazione con il proprio passato da eroe. L’inizio dell’episodio ruota attorno alla riparazione della vecchia tuta Mecha, affidata alle mani di Roy, il gigante buono, in una serie di sequenze che mescolano malinconia e speranza con un ritmo da commedia.

Durante la raccolta dei pezzi della tuta, si scopre che manca un componente essenziale, il nucleo di alimentazione che ne garantiva il funzionamento: un dettaglio tecnico che diventa simbolico, poiché impedisce a Robert di “riaccendersi”, di tornare ad essere ciò che era. È un espediente narrativo semplice ma efficace, che offre una ragione concreta al suo continuo rimandare il confronto con il passato e rafforza l’idea che Dispatch non parli di supereroi, ma di persone che imparano a convivere con le proprie mancanze.
Dopo la sorpresa al termine dell’episodio 2, ritroviamo Blonde Blazer in ufficio che ci spiega il motivo della sua reazione della sera precedente, in un dialogo che cambia tono a seconda delle scelte fatte nei precedenti episodi. Qui il gioco dimostra maturità nella gestione dei rapporti: non più solo biforcazioni di trama, ma una sottile variazione di sfumature che rendono credibile l’evoluzione dei personaggi e il modo in cui Robert inizia davvero a interessarsi alle persone, non solo al lavoro.

Il cuore dell’episodio arriva quando Blonde Blazer annuncia una nuova idea per spronare i villain: a fine giornata, uno dei membri dello Z-Team dovrà essere escluso, per “stimolare la competizione”. Questa decisione trasforma il turno di lavoro in un piccolo inferno morale, con i villain che iniziano a sabotarsi a vicenda pur di accumulare punti e salvarsi. Il gameplay riflette perfettamente questa tensione, con missioni sempre più caotiche e un’atmosfera da arena silenziosa, dove ogni ordine impartito da Robert pesa più di quanto sembri, perché dietro ogni click può nascondersi la possibilità di condannare qualcuno che, in fondo, cerca solo di restare libero.
Episodio 4 – Un nuovo membro
Il quarto episodio si apre con una sequenza che segna un cambio di tono rispetto al precedente; non si tratta di maggiore cupezza o riflessione, ma Dispatch qui gioca con le aspettative, iniziando con una scena sorprendentemente spiazzante e dal ritmo irresistibile. È un momento che non si può raccontare senza rovinare la sorpresa, ma dimostra subito quanto gli autori sappiano utilizzare ironia e leggerezza per rappresentare la vulnerabilità dei personaggi.

Da quel momento, il rapporto tra Robert e Invisigal si costruisce attraverso una serie di incontri sempre più imbarazzanti e divertenti, dove l’attrazione non detta diventa motore narrativo. Qui AdHoc Studio e Critical Role dimostrano di saper trattare il desiderio senza cadere nel cliché, intrecciando il tono comico del workplace con un’intimità più umana, fatta di sguardi, esitazioni e battute fuori luogo, un modo intelligente di raccontare la vulnerabilità di Robert.
Parallelamente compare Water Boy, un eroe minore che, grazie alla propria presenza, alleggerisce la puntata donandole un tono quasi tragicomico: un ragazzo pieno di buone intenzioni ma del tutto inutile in battaglia, relegato a mansioni di pulizia per il suo singolare “dono”. Il personaggio, scritto con disarmante sincerità, è il contrappunto ideale per Robert, ricordando come il mondo dei supereroi in Dispatch sia costruito più su fallimenti e seconde possibilità che su potenza o eroismo.

La seconda parte dell’episodio si concentra su Phenomaman, alle prese con una crisi d’identità, tanto da risultare irriconoscibile e spingere la sua ragazza, Blonde Blazer, a chiederci di consolarlo. Si crea così l’occasione per Robert (e il giocatore) di entrare in contatto con le fragilità di Phenomaman. È un momento scritto con attenzione, che restituisce profondità a un personaggio apparentemente stereotipato — sembra ispirarsi a OmniMan — e prepara il terreno per la scelta finale, una decisione di peso affidata completamente al giocatore.

In questo quarto episodio, Blonde Blazer mette Robert davanti a una scelta significativa per il prossimo membro dello Z-Team: accogliere Phenomaman, eroe quasi perfetto ma attualmente instabile, oppure dare una possibilità a Water Boy, disastro ambulante ma genuino nel desiderio di fare del bene. Una trovata vincente, che influenza sia la narrazione che il gameplay: la scelta determina chi entrerà in squadra durante le sessioni di dispatching, modificando approcci, risultati e persino dinamiche di gruppo.
Commenti, riflessioni e aspettative
Con gli episodi tre e quattro, Dispatch conferma la solidità del suo ritmo narrativo, che cresce senza perdere equilibrio né continuità, dosando bene i momenti di tensione e quelli più leggeri. La serie non rincorre i colpi di scena gratuiti, ma costruisce la propria identità sul dialogo costante tra ironia e introspezione, mantenendo sempre una cadenza coinvolgente.
Lo sviluppo dei personaggi si consolida come il cuore pulsante dell’esperienza: AdHoc e Critical Role riescono a far emergere sfumature nuove senza forzature, attribuendo a ciascuno un ruolo chiaro ma dinamico. È un equilibrio raro, che permette la convivenza di leggerezza e introspezione senza mai rompere il tono generale o sacrificare la coerenza del racconto.

Il gameplay mostra una sorprendente tenuta, rinnovandosi con l’inserimento di nuove reclute e attraverso il modo in cui la narrazione influenza le interazioni nel gruppo dello Z-Team. Ogni missione diventa così un piccolo esperimento sociale, dove strategie, rivalità e alleanze cambiano in base alle scelte compiute, rendendo ogni turno potenzialmente unico. È un equilibrio difficile da mantenere, ma Dispatch riesce a farlo con naturalezza, facendo percepire il peso delle decisioni senza mai trasformarle in un puro esercizio di stile.
Il titolo non tradisce le aspettative, ma le piega con intelligenza, dimostrando che un format episodico può evolversi senza perdere direzione o freschezza: AdHoc Studio riesce a coinvolgere il giocatore non solo nella trama, ma permettendogli di viverla dall’interno, turno dopo turno, immergendosi nel ritmo e nelle contraddizioni che la rendono unica. Se i primi due episodi gettavano le basi, questi le rafforzano, lasciando intravedere un futuro in cui Dispatch potrà osare ancora di più, mantenendo viva la sottile tensione tra controllo e caos che lo rende così unico.

Attendiamo con trepidazione la seconda parte di stagione; ci rivediamo mercoledì per la recensione degli episodi 5-6!
Ringraziamo ICO Partners per averci per averci fornito una chiave del gioco per realizzare questa recensione.
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