La prima volta che Dead Take è comparso nella nostra casella di posta, non eravamo affatto convinti della natura del progetto, che sembrava mescolare elementi tipici del genere horror e delle escape room con un cast sorprendentemente ricco.

Neil Newbon, Ben Starr, Jan Perry e Sam Lake sono solo alcuni dei nomi più altisonanti coinvolti in questo strano titolo firmato Surgent Studios, già noto per l’ottimo Tales of Kenzera.
Lanciarsi nell’anteprima di un titolo così particolare è stata un’esperienza interessante, e siamo finalmente pronti a rivelarvi le nostre conclusioni!
Narrazione
Ambientato in una sontuosa villa sulle colline di Hollywood, Dead Take ci mette nei panni dell’attore Chase Lowry (Neil Newbon), alla disperata ricerca del suo amico scomparso, Vinny Monroe (Ben Starr), svanito nel nulla dopo una festa esclusiva dell’élite hollywoodiana.
Intrappolati all’interno del complesso, ci troveremo a dipanare un intricato intreccio di drammi personali e testimonianze contrastanti, tutte riconducibili alla produzione dell’ultimo film del rinomato regista Duke Cain, “L’ultimo viaggio”.
Con il suo approccio narrativo frammentato, costruito registrazione dopo registrazione, Dead Take cerca di gettare luce sugli aspetti più macabri e disturbanti dell’industria cinematografica, tessendo una storia volutamente sopra le righe.

I vari nuclei narrativi si presentano come blocchi ben delimitati, con un inizio e una fine che coincidono spesso con il ritrovamento dell’ennesima chiavetta USB: ogni file contiene un video che approfondisce la figura del personaggio su cui stiamo concentrando le nostre investigazioni “involontarie”, che sia un estratto del provino oppure un vlog indirizzato a qualcun altro. Finita questa fase, ci ritroveremo a risolvere una serie di enigmi che ci riporterà nuovamente alla visione di un filmato, fino a quando non arriveremo a fondo alla tragica storia che si è consumata nella villa.
A dare una sorta di background all’intera narrazione abbiamo la possibilità di utilizzare il cellulare del nostro protagonista per rivedere le vecchie chat, così come quella di raccogliere le varie note sparse in giro per gli ambienti della casa.
Tenete ben a mente che per ricostruire gli eventi, la strada da seguire è una sola, e dedicarsi a deviazioni di sorta ci porterà soltanto a gironzolare ancora ed ancora nei medesimi corridoi ed enormi stanzoni della villa.
In tutta onestà, siamo rimasti piuttosto delusi dalla struttura rigida con cui si evolve il gioco nel corso delle 3/4 ore che ne delimitano la durata. La problematica principale risiede forse nel contrasto tra l’approccio recitativo, ben riuscito grazie alla spiccata capacità attoriale di una parte del cast del cast, e quello abbastanza tradizionale del titolo in termini strettamente ludici.

Nonostante questo appunto, mentiremmo nel dire che la trama non è riuscita a catturarci, inglobandoci fra una seduta e l’altra in un ambientazione pesante e dalla tensione sempre più sentita. Assumere anche solo per qualche ora i panni di un attore alle prese con la decadenza psicologica e manageriale dell’industria del cinema hollywoodiano ci ha lasciato una forte impressione, ed è forse questo l’aspetto che più apprezziamo dell’intera produzione.
Tenete bene a mente che, nonostante i grandi nomi coinvolti, Dead Take è sostanzialmente una produzione dal basso budget, e per soli 10 euro otterrete accesso ad una storia che senz’altro è molto originale.
Il gameplay
Per quanto concerne il gameplay, Dead Take è una escape room dalle tinte horror che non fa particolari sforzi nel rivelarsi criptica o di difficile interpretazione.
Abbiamo trovato gli enigmi talmente intuitivi e lineari da non rendere necessari sforzi particolari, segno di un game design di buon livello ma forse non abbastanza coraggioso nei confronti dei videogiocatori appassionati.
Gironzolare nella grande villa di Duke Cain non è un’attività particolarmente frustante o ripetitiva, soprattutto per merito delle varie shortcut che collegano convenientemente i luoghi appena esplorati con la saletta cinema in cui avverrà la vera e propria “investigazione”.
Una volta inserita la chiavetta USB nell’apposito computer collegato al proiettore, visualizzeremo innanzitutto un nuovo video. Successivamente, dovremo individuarne un secondo, frutto della combinazione tra questo e uno dei filmati precedenti, utilizzando l’apposito tool di montaggio.
Se questa spiegazione testuale può risultare un tantino caotica, vi assicuriamo che in-game sarà tutt’altro che impegnativo passare da un nucleo narrativo al successivo.
Seppur siano presenti alcune sezioni puzzle in cui avere un taccuino su cui prendere appunti potrebbe semplificarvi moltissimo la vita, non siamo di fronte ad un nuovo Blue Prince, per cui non dovreste preoccuparvi nell’approcciarvi al titolo in maniera più rilassata.

Per completare questa riesamina, non possiamo non fare menzione del modo in cui il titolo si approccia alle tematiche horror. Da una parte troviamo l’utilizzo tradizionale, poco frequente e controllato, di jumpscare visivi di tipo glitch; dall’altro non abbiamo potuto fare a meno di apprezzare il crescendo ansiolitico e privo di risoluzione costruito dai silenzi e dalla musica ambientale. In sostanza, non il più delicato e sperimentale degli horror psicologici, ma comunque ben lungi dall’essere il tradizionale progetto spicciolo riepieno di jumpscares che potreste trovare a questo prezzo.
Comparto artistico e tecnico
Il primo impatto visivo con Dead Take non è dei migliori, parliamo infatti di un titolo che punta ad una resa generalmente “realistica” ma che risulta piuttosto spoglio e piatto nei suoi aspetti più tecnici.
Le ambientazioni mancano di dettaglio, ed anche la disposizione degli oggetti all’interno dello scenario non è sempre logica e convincente.
Parliamo comunque di un titolo dal budget limitato, e per tanto non ci sentiamo di sentenziare più di tanto in questo senso, seppur le premesse risultassero un tantino più eccitanti.

Purtroppo, a questa resa grafica non troppo soddisfacente si va a sommare un’ottimizzazione discutibile, che ha reso assolutamente necessario l’utilizzo del DLSS e del Frame generation per ottenere un framerate stabile ma poco veritiero anche su una configurazione di fascia alta appartenente alla scorsa generazione di GPU.
Ci sorprende in questo senso la conferma al supporto a Steam Deck, che purtroppo non abbiamo potuto verificare per mancanza di tempo.
Conosciamo le difficoltà dei piccoli team di sviluppo legate all’ottimizzazione per un numero potenzialmente illimitato di configurazioni PC, ma speriamo comunque che la situazione venga pian piano migliorare con l’uscita delle future patch post-lancio.
Ringraziamo ICO partners per averci fornito una chiave del loro gioco per realizzare questa recensione.
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