Dopo avervi parlato approfonditamente di Luto nella nostra recensione dedicata, abbiamo colto l’occasione per confrontarci con l’elemento chiave nella creazione di questo titolo, Borja Corvo Santana.
Luto si è dimostrato un titolo sorprendente, personale e pieno di spunti di riflessione che vanno oltre il semplice significato narrativo, aprendo il dialogo sull’esperienza di uno sviluppo alle prime armi e sul destino dell’intera industria degli indie horror.
Se siete interessati ai retroscena dietro alla progettazione di Luto, o semplicemente avete a cuore l’autorialità dei piccoli titoli horror del mercato indipendente, questa lettura farà al caso vostro!

L’intervista
- Una delle cose che ci ha colpito di più durante la nostra prova è stato la significativa trasformazione subita dal gioco dalla prima demo alla versione finale. C’è forse stato qualche cambiamento di direzione più o meno importante durante lo sviluppo, o era questo il risultato a cui puntavate sin dall’inizio?
Potremmo dire che Luto si è sviluppato in due fasi: la prima, dal 2020 al 2023, in cui è nata l’idea del gioco, poi concretizzata in quella che è diventata Luto Demo: The Choice. La seconda, invece, sviluppatasi dal 2023 al 2025, che ha portato alla versione di Luto che abbiamo appena pubblicato.
La prima fase è nata dal bisogno di creare un videogioco, e Luto è il primo gioco che abbiamo realizzato, non solo come studio, ma anche come professionisti. All’epoca il nostro obiettivo principale era semplice: costruire un progetto da inserire nel nostro portfolio che potesse, in futuro, garantirci qualche opportunità.

Poi è arrivata la demo, e ci siamo resi conto che era piaciuta molto. Questo ci ha spinti a ripensare l’intero processo di sviluppo. Da semplice progetto di portfolio, Luto è diventato un tentativo di realizzazione di un gioco completo, qualcosa di più complesso rispetto a ciò che avevamo inizialmente in mente. È per questo che il risultato finale si è allontanato, in parte, dalla demo originale. Alla fine infatti, per raccontare la storia che avevamo in mente c’era la necessità di esplorare altre idee, come ad esempio quella della figura del narratore.
- Dal punto di vista tecnico-grafico, Luto è spaventosamente vicino al fotorealismo.
Qual è stata, secondo voi, la chiave per raggiungere un obiettivo tanto ambizioso, considerando anche le dimensioni ridotte del team di sviluppo?
A dire il vero, si tratta per la maggior parte di un trucco visivo. Se si presta davvero attenzione ai dettagli, infatti è facile notare che non tutto ha una qualità tale da rasentare il fotorealismo, che anzi, è parecchio lontano dal risultato finale.
Tuttavia, credevamo che ciò che non potevamo essere ottenuto in termini di “qualità”, si sarebbe potuto compensare con la “quantità”, e soprattutto ,con un’illuminazione ben studiata.

È per questo che gran parte di Luto è piena di asset, luci e ombre, contrasti… abbiamo dedicato molto tempo a far sì che il risultato finale avesse un feeling “cinematografico”, e questo è merito soprattutto dell’illuminazione, come dicevamo.
- Il narratore in Luto è una figura davvero emblematica e piuttosto inusuale.
Cosa vi ha ispirato a crearlo e a includerlo nel gioco?
Come accennavo prima, il narratore è nato dalla necessità di raccontare una storia che, nel nostro caso, sentivamo non sarebbe stato possibile trasmettere in altro modo.
Le ispirazioni principali sono state What Remains of Edith Finch, con il suo “monologo interiore”, e The Stanley Parable con il suo “monologo esterno”, che ha avuto un’influenza molto più marcata sullo sviluppo di Luto.
- Il fantasma sotto il lenzuolo — una figura iconica del genere horror — ci ha fatto un’impressione parecchio forte. C’è una storia particolare dietro alla sua nascita, o è stato semplicemente frutto della sperimentazione?
Curiosamente, è nato proprio dalla sperimentazione. Abbiamo sempre voluto giocare con elementi “nascosti” o ambigui, e prendendo ispirazione da una delle iconiche scene di The Others di Alejandro Amenábar — in cui un’intera stanza è coperta da lenzuola — abbiamo realizzato che avremmo potuto creare una simulazione di tessuto particolarmente efficace e in grado di catturare l’attenzione.
Da quel momento, è diventato uno degli elementi chiave di sviluppo.

- Luto racconta una storia incredibilmente personale. Secondo voi, quali sono gli ingredienti fondamentali per far calare con successo il giocatore in un’esperienza che non gli appartiene direttamente? Quanto è importante il racconto ambientale, in questo processo?
Ci sono storie che sono universali, e il concetto di perdita di una persona cara, che Luto esplora, è una di queste. Abbiamo raccontato la nostra storia da una prospettiva molto personale, usando elementi culturali del nostro paese, le Isole Canarie, che rappresentano un gruppo parecchio ristretto di persone nel mondo.
Però, siccome il nucleo della storia è la morte, ognuno vi si può rivedere, in qualche modo e per questo non so se possiamo davvero parlare di “ingredienti”. Per noi ha funzionato il fatto di raccontare la storia dal nostro punto di vista, sia personale che culturale, e amiamo le storie raccontate in questo modo.
- Potrà sembrare una domanda un po’ scontata, ma quali sono state le cinque ispirazioni più importanti nella creazione del gioco — che provengano da cinema, letteratura o altri videogiochi?

Ci siamo ispirati a tantissime cose, ma ce ne sono sicuramente alcune che spiccano.
Per quanto riguarda i videogiochi: P.T. (Silent Hills), What Remains of Edith Finch e The Stanley Parable.
Dal cinema, abbiamo preso molto da Hereditary e A Ghost Story.
Dalla letteraruta c’è stata una sola influenza, ma fondamentale: House of Leaves.
- Qual è la storia dietro al simbolismo presente in Luto?
In che misura la cultura del vostro Paese ha influenzato le scelte estetiche e il linguaggio visivo utilizzati nel gioco?
Sin dall’inizio sapevamo che il simbolismo sarebbe stato una componente fondamentale di Luto. Questa idea ci ha portati a scoprire il Poema del Atlántico di Néstor Martín-Fernández de la Torre, un artista molto noto delle Isole Canarie. Si tratta di una serie di dipinti che abbiamo utilizzato lungo la narrazione di Luto, e che riflettono non solo lo scorrere della giornata (la routine, che è uno dei temi ricorrenti del gioco), ma anche il ciclo della vita e della morte.

Volevamo che una parte del racconto si basasse su un processo di interpretazione attiva da parte del giocatore, e abbiamo pensato che il modo migliore per farlo fosse attraverso elementi simbolici. Questo può essere un bene o un male, a seconda del tipo di giocatore e dalla sua predisposizione a lasciarsi coinvolgere e fare quello sforzo personale necessario all’interpretazione. Non è un approccio adatto a tutti, ma era un rischio che eravamo disposti a correre.
Detto questo, non tutto in Luto è simbolico. Una parte consistente della storia viene raccontata in modo più diretto, attraverso testi, appunti, narrazione e persino disegni. Diciamo che abbiamo cercato di trovare un equilibrio.
- In quanto creatore e responsabile di una parte significativa del gioco, quante volte ti sei ritrovato a rigiocare il tuo stesso lavoro?
E quanto credi sia importante il ruolo di un playtester esterno non coinvolto direttamente nello sviluppo?
Onestamente, non ho idea di quante volte ho giocato Luto, perché solo in questo mese saranno state più di cento, considerando tutte le piattaforme.
Il QA è stato uno dei nostri più grandi errori. Siccome siamo un team davvero piccolo con un budget molto limitato, abbiamo deciso di occuparcene da soli. La verità è che il playtesting è un lavoro così importante da solo, che cercare di conciliarlo con tutte le altre attività di sviluppo è stato mentalmente estenuante.
Detto ciò, anche se lo abbiamo gestito internamente, crediamo che il risultato finale non sia poi così male. Siamo riusciti a risolvere tutti i problemi principali in tempo, anche se stiamo ancora rifinendo alcuni aspetti. Ogni configurazione PC è diversa, quindi sapevamo che una volta pubblicato Luto, sarebbero emersi centinaia di nuovi problemi.
- Secondo voi, il mercato dei videogiochi horror è davvero saturo?.
Quanto è difficile innovare senza cadere nei cliché o negli stereotipi?
È possibile che l’intero mercato sia saturo, haha. Ma per quanto riguarda l’horror, credo sia normale che ci sia così tanto materiale.
Lo vedo come un genere “accessibile” perché di solito non dipende dalle meccaniche, ma dal tentativo di suscitare emozioni. È per questo che molti creatori lo scelgono per iniziare la loro carriera. Noi non facciamo eccezione.
L’innovazione è un concetto molto complesso, e non so quanto possiamo dire di aver davvero innovato. Anche se pensiamo di aver toccato degli elementi ancora inesplorati, la maggior parte di Luto è un mix di elementi già esistenti.

Per quanto riguarda i cliché, abbiamo cercato di evitarli, ma pensiamo che il trucco sia usarli a proprio vantaggio in determinati momenti, senza farvi affidamento completo. In fondo, l’horror è già di per sé uno stereotipo.
- Dopo aver espresso qualcosa di così personale e intensamente emotivo con Luto, come immaginate il futuro dello studio? Continuerete a esplorare l’horror e l’espressione emotiva, o c’è il desiderio di sperimentare qualcosa di più giocoso?
È troppo presto per dare una risposta definitiva, anche perché vorremmo fare un po’ di tutto, haha.
Ma è piuttosto probabile che il nostro prossimo progetto sarà ancora legato all’horror.
Ringraziamo Broken Bird Games per averci fornito una chiave del gioco.
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